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e ho soltanto il tuo nome
come un relitto
se freno la corrente con le dita
non trovo nodo, gomitolo di verbi
arare il campo fertile della testa
ricordare le mie dita fra i capelli
dire ad un passante: non sono di qui
sentirsi un boato – altrove –
e ho soltanto il tuo nome
come uno sparo di cacciatore.
*
alcuni dicono: scendete dal piedistallo
abbandonate la luna alcuni ingiuriano
i soliti intellettuali altri aggiungono
essi sono solo una parte del corto circuito
per il quale decido oggi di scriverti queste parole
oggi che trovarsi insieme è illudere una vecchia speranza
lontani dalle domande irrisolte lontani dai dubbi
tanti di noi si vedono ancora nonostante il nulla
sono coloro d’incrollabile fede
che talvolta non ci dormono la notte
e vivono ogni estrema occasione come quel cielo
in cui riporre – giustamente forse – la propria salvezza
ma anche e soprattutto – forse – quella degli altri
non so darti certezza me ne rendo conto ora
ma posso indicarti chi sono gli altri, i nessuno
grazie ai quali ha ancora senso pensare al futuro
essi chiedono ancora un mondo non semplice
ma totalmente assurdo in cui la ragione
non confini le idee non protegga il padrone
essi sono uomini e donne di buon senso
che conoscono bene il colore della terra
e non c’è nulla che altri possano fare
alcuni dicono: è facile parlare e inventare
e gli esortano a fare quello per cui vivono:
il lavoro quotidiano la casa i figli da educare
ma per essi la forza è nelle parole e gli argomenti
quando spinti alla frontiera armano i piedi
e i loro corpi come barricate in cui tu credi
io credo senza pericolo di coscienza
che ci siamo persi di vista in un lento naufragio
tra le cose concrete e le maschere belle
e che è così faticoso adesso scovarci nel ballo
tuttavia è davvero necessario riprovare a capire
quale turno abbia la giustizia a questa parte
e inchiodarla a quel muro che ergono tutti
nel solco del proprio, nel timore del mio
davanti al panorama scheletrico del mondo:
tu più coraggioso di me scegli di restare.
*
nel promontorio cieco di mare
tra le secche strade di grano e lacrime
gocce d’oro, sudore tanto e morte
di sole e terra gretta. Sono pallido
all’orizzonte teso senza fine
per me non c’è la fine. Sono vivo
ma con i miei compagni lavoriamo
sodo questa cosa che dici vita
e non c’è che domani smette e va meglio
le lamiere sul cuscino, fa calore
ma se grida un cane scemo io
gli abbaio che son sordo.
L’uva nera il profilo tondo del frutto
esiste una definizione ad ogni vita
sciagura degli occhi miei è questa retta
che invece va e per me non muore.
Allora succede che eravamo dieci
stretti fitti come una scatola di chiodi
guardavamo attenti fuori al finestrino:
in un volteggio di volante
il singhiozzo delle ruote.
*
Sono solo nome
su questi fili d’erba che si piegano
sulle giornate che si spiegano
alle rive che dimentico:
sono solo nome.
Su queste mura ruggine
io sfioro – la storia delle case delle acque e delle terre,
le guerre degli uomini e le morti contadine,
come oggi, uguale a ieri, i padroni
il sole, il fiume, il mare nostro, mio,
la repubblica, l’oriente, la bonifica di ogni cosa –
la mia fine.
Stefano Modeo (Taranto, 1990) laureatosi in Filologia moderna vive e lavora come insegnante a Ferrara. Ha pubblicato La terra del rimorso per la collana “Rive” (ItalicPequod) con una nota di Roberto Deidier. Alcune sue poesie sono comparse sul sito Yawp: giornale di letterature e filosofie.