Bestia duecentoquarantaseiesima
L’Allarmismo posa la zampa in una strana depressione del sentiero. La pioggia ne ha confuso i contorni, ma potrebbe trattarsi dell’orma di una bestia gigantesca.
Gli si drizzano i peli sulla schiena. La terra, i cespugli e i tronchi dei castagni vorticano intorno a lui e si confondono in una scia verde e marrone. La gola gli si secca.
Se un mostro così grosso è passato di lì, il bosco non è sicuro.
Si drizza sulle zampette posteriori e si lancia in corsa. Deve portare ovunque la notizia del pericolo. Gonfia il collo e spalanca la bocca. Inspira finché il petto non è sul punto di esplodergli e lancia un grido stridulo.
Bestia duecentoquarantasettesima
L’Intemperanza non conosce limiti.
Lo stomaco le gorgoglia e le si contrae per la fame, così lei srotola la lunga proboscide e aspira con foga. L’erba si strappa e le confluisce verso la bocca, finendo risucchiata all’interno. È fresca e saporita, ancora umida di brina.
Il prato si spoglia a poco a poco e la terra nuda si affaccia qua e là. Lei ingoia tutti gli steli che può e la pelle le si tende sul ventre, che potrebbe scoppiare da un momento all’altro.
Non mangia più per fame, mangia per sfizio. Iniziare è stato facile, ma smettere è impossibile.
E perché farlo, dopotutto?
Bestia duecentoquarantottesima
L’Autorealizzazione è incapsulata in un corpo melmoso, grossolano, che ha creduto essere il suo vero corpo, ma non lo è. La pioggia ammorbidisce l’involucro che la imprigiona, così lei si affonda le mani nel ventre, si strappa via di dosso l’argilla e scava con le unghie per raggiungere se stessa.
C’è un corpo autentico ad attenderla là sotto, e il mondo, che ha sempre creduto angusto, lo sembra solo perché non l’ha osservato che attraverso due fenditure nella creta.
Sputa la fanghiglia che le s’insinua fra i denti.
Darà alla luce se stessa, rinascerà nella propria forma reale.
Le bruciano gli occhi, ma non importa: non è disposta a chiuderli ancora. Agita le spalle, i fianchi e le gambe, così la melma cade a terra. Solleva le braccia al cielo, estende il collo e scuote la testa.
Gocce gelate le bagnano la fronte e gli zigomi. L’Autorealizzazione inspira a pieni polmoni e grida: la sua voce esplode cristallina, finalmente libera. È il suo primo vero vagito.
Bestia duecentoquarantanovesima
L’Altruismo si affonda i denti in una zampa e il dolore gli s’irradia al gomito e gli risale fino alla spalla.
Strizza le palpebre e serra le mandibole. Il sangue gli riscalda le labbra e un sapore ferroso gli riempie la bocca.
Dà uno strattone e le ossa scricchiolano, si spezzano come rami secchi.
Soffoca un guaito, getta la zampa mozzata alla bestia macilenta accasciata di fronte a lui e abbassa lo sguardo sul moncherino: il sangue gli gronda dalla ferita e si mischia col fango.
L’Altruismo non si è sacrificato invano. La bestia che fino a poco fa stava per morire vivrà e porterà in sé una parte di lui. Non ha perduto una zampa, ne ha guadagnate altre quattro.
Bestia duecentocinquantesima
Lo Spavento viene proiettato nel mondo dal ventre della Minaccia.
Il suo profilo affilato, ancora umido di liquido amniotico, si tende fin quasi a spezzarsi. Il suo primo vagito è un grido acuto, assordante, che fa vibrare le ossa e tortura i timpani.
Si solleva sulle gambette ossute e si divincola, afferra il cordone ombelicale con le dita scheletrite e lo porta alla bocca per strapparlo, ma i suoi sforzi sono vani: non può esistere Spavento senza Minaccia.