Bestia duecentunesima
L’Integrazione si sgranchisce le otto zampe indolenzite e trotterella verso il confine slabbrato del frammento di realtà su cui ha schiacciato un pisolino. Secerne un filo di seta e lo lega a una sporgenza del margine di terra che la divide dall’abisso.
Spicca un balzo che la proietta sul tassello di realtà più vicino, dove c’è un foro nel suolo che fa al caso suo. Vi fa passare attraverso l’altro capo del filo e prende a tirarlo con le zanne: le due isole fluttuanti si avvicinano a poco a poco. Tira con più forza, finché i frammenti non cozzano con un tonfo sordo. Annoda l’estremo del filamento, lo lascia e indietreggia: la cucitura regge. Le bestie che abitavano divise si mischiano in una danza.
L’Integrazione ruota su di sé: decine di altre isole levitano sull’oscurità. Si sfrega le zampe anteriori e si dirige verso un nuovo confine.
Bestia duecentoduesima
La Procrastinazione è un parassita che s’innesta fra l’Intenzione e l’Azione, due teste di una sola bestia.
L’Intenzione suggerisce una strada e la Procrastinazione, aggrappata al dorso della creatura bicefala con tre coppie di zampette uncinate, morde con la bocca a ventosa un orecchio dell’Azione e vi rigurgita dentro Svalutazioni e false Priorità.
L’Azione, irretita dalla Procrastinazione, mette da parte il volere dell’Intenzione: percorrerà la strada suggerita in futuro, non adesso. Ci sono cose più importanti da fare.
Il parassita si stacca dall’orecchio e azzanna il ventre della vittima: si nutre dell’insicurezza che ha generato.
Bestia duecentotreesima
La Verbosità è figlia di un Pensiero ipertrofico. Rigurgita colonie di Parole che corrono alla rinfusa, inciampano sulle proprie antenne e rotolano le une sulle altre. Il fruscio delle loro zampette sovrasta ogni altro suono, impedendo alla Verbosità di udire le voci delle bestie che ha intorno. Persino il gorgoglio della sua pancia e il battito del suo cuore vengono soffocati dallo zampettio incessante.
Tutte quelle Parole senza scopo si riversano nel mondo e subito vengono schiacciate: sono carne da macello che copre il rumore di ciò che è troppo duro da ascoltare.
Bestia duecentoquattresima
Il grido della Ferocia lacera il silenzio del pomeriggio soporoso. Le bestie addormentate si svegliano di soprassalto e fuggono dalla radura in un brulichio caotico. Il sole della controra brilla nei loro occhi allucinati, zolle di terra e ciuffi d’erba strappata vorticano fra le loro zampe veloci.
La Ferocia azzanna il fusto di un albero, serra le mandibole sul legno e lo tronca in una pioggia di schegge. Ha le sclere iniettate di sangue e un rivolo di bava le cola dalla bocca. Gli artigli ricurvi saettano sul ventre molle del Terrore, paralizzato all’imbocco della propria tana.
In una danza disarticolata la Ferocia squarcia, sbrana, mastica, sputa, spezza e dilania carni, ossa, abeti e arbusti. Ruggisce e se ne va, scompare nel bosco per fare ritorno alla tana in cui nacque, troppo profonda e scura per la Compassione, troppo fredda e inospitale per le Parole. La Ferocia non sa dire il Dolore che l’ha generata.
Bestia duecentocinquesima
La Mistificazione si china sulla Verità addormentata ai suoi piedi, ridacchia a labbra serrate e intinge le dita in una pozzanghera. Le solleva e il fango le cola giù per i polpastrelli fino ai palmi glabri, che tremano di freddo e di eccitazione. Imbratta due ciocche di pelo sulla testa della Verità e le modella a forma di corna: verrà un capolavoro. Saltella in punta di zampe e scodinzola così forte da frustarsi i fianchi.
La Verità continua a russare.
Lei prende altre due manciate di melma e le fa colare goccia a goccia sul muso e sull’addome della bestia dormiente. Le spettina la pelliccia e indietreggia di un passo: al suo risveglio quasi nessuno saprà riconoscere la Verità.
La Mistificazione si accuccia nell’erba alta e attende che lo spettacolo abbia inizio. Il suo lavoro è compiuto.