Bestia centoquarantunesima
Lo Sforzo è un fascio di nervi e muscoli tesi. Il sudore gli scivola lungo le costole e gronda a terra. Il masso gli preme contro la fronte, gli lacera la pelle e lo respinge a valle.
Lo Sforzo trema, ma non cede: si puntella sulle zampe malferme, irrigidisce il collo e spinge più forte che può. Eviterà l’eruzione.
Una fitta gli lacera i tendini, che sembrano potersi spezzare da un momento all’altro. Gli occhi pulsano, sono sul punto di schizzargli fuori dalle orbite e rotolare giù per il declivio del vulcano. Stringe i denti fino a sentir male e ricaccia indietro un gemito di dolore.
Il masso avanza poco alla volta, come un’enorme lumaca rocciosa. La bocca del vulcano borbotta emanando aliti di zolfo che bruciano le froge dilatate dell’animale. Ha l’affanno, l’aria gli entra nel naso, ma è come se non raggiungesse i polmoni. Il cuore è sul punto di fracassargli il petto.
Ecco il cratere. Ancora una spinta, deve ignorare il dolore, spingere più forte e…
Il masso scivola nell’abisso e le viscere del vulcano emettono un gorgoglio. Tutto tace.
Lo Sforzo crolla a terra, la lingua gli pende oltre le labbra finalmente schiuse.
Ha davvero impedito l’eruzione?
L’erba ondeggia appena sulla piana deserta attorno al vulcano.
In fin dei conti c’era qualcosa da salvare? Difficile trovare una risposta.
Lo Sforzo ansima. Non conosce suo padre, ma vive nel dubbio di essere figlio di un Movente irragionevole.
Bestia centoquarantaduesima
L’Intuito chiude gli occhi e drizza i baffi: l’aria vibra mossa dallo sciacquio di una cascata lontana.
S’incammina ignorando il ronzio degli sciami di Pensieri che svolazzano fra i cespugli. Non riusciranno a distrarlo. Abbandona le vibrisse al venticello che si è levato da sud: porta con sé il ringhio di un predatore, l’eco dei rumori su un sentiero stretto fra due monti, il guizzo dei pesci che nuotano sotto la cascata.
Sa qual è la strada da percorrere.
Alle sue spalle rintoccano i passi di una creatura sconosciuta. Lo stomaco dell’Intuito non si contorce, il suo battito è ancora regolare: si tratta di una bestia innocua. Che lo segua pure, scoprirà scorciatoie nascoste che conducono in luoghi mai visti, oltre i sentieri tortuosi del Ragionamento.
Bestia centoquarantatreesima
La Stanchezza arranca con le zampe che affondano nel terreno fangoso. Le palpebre le franano sugli occhi e gli alberi intorno a lei si trasformano in sagome sfocate. La bestia lancia un’occhiata dietro di sé: una lunga fila di orme si srotola fra i tronchi, ognuna di esse è la cicatrice di una sfida stremante.
Spalanca la bocca in uno sbadiglio e china il capo.
I cespugli che sfiora flettono il fusto e si ritraggono esausti dietro tendine di foglie.
La Stanchezza cammina sempre più lenta, con le ginocchia in fiamme e la coda che striscia nel fango.
Un mormorio ipnotico la scuote: qualcosa sta cantando poco lontano.
La bestia sgrana gli occhi e lotta contro il fango per accelerare. Gli alberi si diradano fino a scomparire e una radura dal terreno compatto accoglie finalmente i suoi passi. Al centro il Riposo la attende con le lunghe zampe spalancate nella promessa di un abbraccio.
La Stanchezza mugghia di gioia, gli corre incontro e si abbandona su di lui.
Il Riposo sussurra quieto e la stringe a sé.
Bestia centoquarantaquattresima
Il corpo imponente dell’Ispirazione è a malapena distinguibile dalla neve che ammanta il terreno e copre le chiome degli alberi, quasi che ne fosse un’emanazione. Il suo collo lungo come un tronco di sequoia si tende bianchissimo oltre le betulle. La bestia volge il muso al cielo e fa un respiro profondo: ci sono fragranze intrappolate nei drappi fluorescenti dell’aurora polare. Tiene il capo immobile fra quelle luci antiche e il vento le scarmiglia appena la pelliccia candida. Trema, landisce e si lancia in corsa attraverso la tundra innevata.
Da adesso in poi, chi verrà travolto dalle sue zampe slanciate non potrà far altro che aggrapparvisi. Giungerà così in luoghi del Subconscio occupati da fantasmi di città, visioni che attendono di prendere corpo attraverso la creazione.
Bestia centoquarantacinquesima
Il Conforto zampetta lieve verso un elefante ferito, gli scivola sotto la pancia e inarca la schiena per sostenerne il peso: il gigante non dovrà più trascinare da solo il proprio dolore.
L’elefante barrisce, gli confessa il tormento che da giorni non lo abbandona. Il Conforto ascolta, solleva una zampetta e gli accarezza la pelle rugosa.
Sa che il viaggio li condurrà nel buio, e che una volta lì l’elefante si perderà. E infatti ecco l’abisso, una strada dirupata che s’immette nelle profondità più nere. Camminano finché l’umidità non li raggela, finché l’elefante non trema ascoltando l’eco del proprio respiro affannato.
Ora è tempo di fare luce. Il Conforto si accende, abbandona la pancia del gigante e si sgranchisce le ali. Fa segno all’elefante di seguirlo: lo condurrà al cospetto della Speranza, che risale l’abisso in cui nacque confidando di trovare il sole. Insieme a lei, anche loro ci riusciranno. Ne è certo, l’ha già vissuto milioni di volte e lo rivivrà ancora: tutte le bestie, prima o poi, hanno bisogno del Conforto.