Movimento e stasi – di Massimo Palma

[E’ uscito il 15 giugno, per i tipi di Industria & Letteratura il primo libro di poesie di Massimo Palma, Movimento e stasi, dedicato ai fatti di Genova 2001. Ne proponiamo una selezione]

 

sensi

essere stasi dopo quel movimento che era
tra le tempie era un istinto.

Sette mesi lontani dai proiettili dalle pistole
puntate e poi esplose oltre le sbarre
da foto di anziani sotto stelle vedere giovani
che ballano mentre altri picconano le strade

le vie
di Genova che tornano venti e duemila anni dopo
ancora gli abbracci da dietro le spalle
mani sulla nuca la piazza è piena sentire

una sola partenza tutte incordate
la gioia e l’attesa
mentre la pietra si educa al volo.

Fino a prima erano insieme
unite appena da mani a toccare da dietro
capelli rosa che cantano.

 

camminavano in fila

quando hanno saputo molti degli assenti erano altrove erano in viaggio. Alcuni tornarono in fretta sfogliando i giornali mandando messaggi cercando con la voce chi c’era. Altri fecero manifestazioni lunghe manifestazioni di protesta. Camminavano in file ordinate. Ma non si ripeté nulla di quel che era successo. Un petardo una piccola fuga i cordoni in divisa che stavolta arretravano pigri.
Davanti nei cortei c’erano striscioni e testimoni. Tutti continuarono a muoversi per giorni e per tutta l’estate. Alle sagre e nei treni regionali si discuteva ancora si litigava – ci si spartiva il campo come si fosse ancora in quelle strade come se poi tutti ci si fosse stati davvero.
Venne l’autunno e poi l’inverno e gradualmente il movimento di parole rallentò – improvvisamente si parlava d’altro.
Solo alcuni continuarono a parlarsi a domandare. Altri si chiedevano perché non c’erano stati non si davano pace. Leggevano articoli riguardavano le foto

verità

sono stese con lui davanti nella piazza
da anni e sul lettino
le guardano mentre negli occhi hanno via Caffa e il lungomare
e la visiera di quel capo che era stato in Somalia
a preparare la guerra
e la notte si svegliano perché sentono non bastoni
ma grosse mani
addosso spinte a frugare la pelle.

E finire a terra. Essere raccolte e spinte
di nuovo gli arti che saltano i gomiti che si aprono
ancora raccolte e poi circondate loro al centro
di voi che odiate
per scoprire che anche loro adesso odiano.

Hanno letto solo dopo.
Solo dopo hanno saputo chi era.

Traum

ogni vertice internazionale in quegli anni veniva contestato. Giovani che finalmente potevano muoversi fuori dai confini si spostavano di paese in paese per manifestare e in ogni luogo a ogni riunione radunavano complici e consensi. Allora pian piano i governi si parlarono si organizzarono e stabilirono per prima cosa che ai manifestanti bisognava dare uno spazio esatto e ai conferenzieri un altro spazio. Zone distinte senza contatto e ben difese. Nei piani di ordine pubblico si istituirono zone rosse proibite altre invece carrabili di altri colori. È una questione di spazio ripeteva il funzionario tedesco il francese assentiva. Un ministro italiano che sapeva il tedesco prendeva nota su piccoli biglietti ripiegati.
Scriveva spazio Raum – sogno Traum

in luogo isolato

c’erano camionette all’angolo di Corso Torino
che rilasciavano uomini allenati per mesi
in luogo isolato nelle spiagge di aprile
deserte tenuti fermi
soltanto dall’invito a strozzare
appena a Genova.

Venuto il luglio i maschi d’estate impazziscono e vederli
oggi in azione senza l’audio ne dice sedazione
e isolamento erano addestrati
sembrano sciami
che ronzano senza costrutto.

 

decadi

che era bianco e si è protetto gli occhi.
Che è stato fermo statico a pensare quando il gas toglieva fiato
e i rifiuti occupavano l’asfalto.
E indossava un rotolo di scotch
marrone sul bianco della pelle la canotta.
A provare a spegnere il fuoco con le braccia quelle bianche.

Giacere lontano dagli occhi ferito morto in fronte da un piccolo sasso
coperto da mille stivali dai calci dei fucili.

Come stanno i morti alla fine – sono stesi e sono bianchi.
Lo copre un lenzuolo.
Essere umano. Minuto. Ragazzo.
La piazza lo assorbe non pulisce le macchie.

Noi siamo pròtesi di un silenzio mai stato attorno al corpo
nella piazza
il primo ucciso da quando era nato
l’ultimo da quando ora è ucciso.
Non accettiamo di soffrire parole intorno.
Chiediamo cenere per seppellirlo ancora.

Ma da anni è aria e chi vuole e chi riesce respira.

trasmissione

senz’aria non fermarsi al naufragio
agli spettatori che siamo ridire
la parte che era
il movimento in tre stasi la resa.
All’inizio del racconto
le voci non si sentono
si sente l’apnea di chi
nuota tra immagini e ferite
nell’acqua che devasta.

La chiave è stata muoversi in quell’acqua
tra i rifiuti essere complice di lui proprio alla fine
cercare e chiedere le foto
avvicinare ogni scatto a occhi aperti
trovarla distinguere la faccia
nutrire ancora il corpo com’è apparso
sapere com’era quando ha preso
posizione.

l’unico errore

in fondo andò tutto bene e tutti anche il presidente di tutti si complimentarono perché era andato tutto bene davvero nonostante la grande tensione l’impegno si era notato. Certo c’era stato l’unico errore di un morto ma un morto soltanto. Quando invece è regola aurea gestire la piazza senza permettere bilanci a consuntivo. Ma presto in un modo o nell’altro si sarebbe dimenticato. Altra nota stonata quella ragazza tedesca che quasi uccisa alla Diaz rilasciava interviste dove spiegava con calma in inglese senza emozione cosa le era stato fatto rendendo il meccanismo troppo trasparente. Per fortuna era tedesca per fortuna vestiva di nero

 

momento scelto

di quel film abbiamo estratto
falsificato
di una scena un fermo immagine
in cui la perdita del controllo
è più evidente.
Chi l’ha detto che dei morti non si ride.

Ogni umano quando passa ha negli occhi
la domanda
non morirmi dentro.

Dalla morte degli altri uscire mossi.

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