La quarantena ha fatto miracoli. La smania di mettere ordine – pur di riempire un po’ le ore con qualcosa di inedito – riporta alla luce un volumetto molto amato e intitolato “Diamoci da dire”, edito da Carabba. Diamoci da dire è, con le Papere, una parte del vasto repertorio satirico dato alle stampe da Giuseppe Rosato di Lanciano. Amico e sodale di Ennio Flaiano, sapiente critico d’arte (ha curato rubriche per la RAI), eccellente narratore e poeta, sia in lingua italiana che in lancianese, il suo libro più recente di versi è Un altro inverno (Book, 2020): un altro capitolo in quel suo emblematico dialogo con la neve, simbolo efficace delle cose passate ma anche del lucore che – pur nell’abbaglio illusorio – tiene desto il sentire; ecco allora, ancora e immutato, l’amore intramontabile per la moglie scomparsa, la vecchiaia che sopravanza ma non ha il potere di spegnere la voce, che è ancora alta, eccellente, fresca. Ho conosciuto Giuseppe Rosato svariati anni fa. Si era in giuria insieme al Premio “Colli del Tronto”, con anche Giovanni Tesio, Luigi Manzi e Franco Loi. Tempi che ricordiamo con bella nostalgia, le volte che ci sentiamo: giorni – quelli del premio, ma anche tutti gli altri trascorsi insieme per occasioni letterarie ma anche squisitamente amicali – in cui la Poesia faceva strada con noi, con la levità che le è propria quando si è a proprio agio. Nascevano – anche lì – le felici battute, i calembours, di cui Peppino è da sempre maestro insuperabile. Così, mentre invito i lettori all’acquisto del “nuovo” inverno di Rosato, perché è libro che una volta di più merita d’essere letto, riapro (e qui propongo) alcuni suoi passi da Diamoci da dire e da Papere. Che in questa nostra Italia, ahimè, hanno il triste pregio di non passare mai di moda.
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da DIAMOCI DA DIRE:
Minime del giorno
Prosperano le assunzioni / alle pubiche relazioni.
Per far carriera (una scrittrice ha detto) / bisogna avere scritto e avere letto.
Anche se il cannibale è vecchio / meglio non prestargli orecchio.
Gente irsuta / il ciel l’aiuta.
La terza età, decisa, predispone / la nuova strategia della pensione.
Anche al poeta gli anni fan violenza: / il suo afflato s’è fatto flatulenza.
In bravura linguistica / la cinquantenne sciala: / lei chiama baia il piccolo / golfo, ed il seno cala.
Block notes
– Si era convinti di avere a capo un uomo onnipotente e poi si scopre che si trattava semplicemente di un uomo capace di tutto.
– Sorpreso a baciarsi con la giovane cameriera, il vecchio poeta A.B., da molto tempo demotivato e improduttivo, si è così giustificato: “Stavo tentando con la re-ispirazione artificiale”.
– Non c’è peggior dolore che ricordarsi dei tempi felici quando non si ha più memoria.
– Molte sono le cose che vanno così così, altre procedono a stento, altre ancora si salvano non si sa come dallo sfascio. Ma non c’è da disperarsene: piano piano, vedrete che poi tutto si guasta.
Minutaglie
– Non disperdete i vuoti nell’ambiente: si tengano ben chiusi nei loro posti di comando.
– Il trattamento del seno a base di silicone ha dato risultati palpabili.
– Editore d’avanguardia deluso offre dodici poeti nuovi in cambio di tre usati.
– L’ultimo plenum del Sindacato Scrittori ha fatto registrare il vuotum.
– Il Complesso di Edipo suonava solo in Re.
Vie nuove
“Mi sento davvero male” / si lamenta l’intellettuale / che fu sessantottista / e poi di centro-sinistra, / “ho come un peso sul cuore / che di continuo mi desta, / lo faccio a malincuore / ma devo voltarmi a destra”. / E dopo che s’è voltato / può dormire beato.
Verso il futuro
Siamo nella m., ma questo non sarebbe ancora niente: il guaio è che prima o poi qualcuno si deciderà a tirare la catena.
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da PAPERE:
Donne al governo, ma / di destra o di sinistra / non cambia niente: è sempre / la solita ministra.
Il mafioso è ormai vecchio / e chiede un indennizzo: / “Son povero” piagnucola / “non lavoro da un pizzo!”
Di spazio gli ospedali / son sempre più in difetto: / trovare un posto è come / una vincita al letto.
Versi alla luna azzecca / s’è in vena il poetastro, / ma davvero è una frana / se gli vien meno l’astro.
Il candidato parla, gesticola, si sgola… / Quando c’è da promettere / è sempre in prima fola.
Vedi quel ballerino? / Fa il becchino. E la rossa / con cui balla è la moglie: / fan sempre coppia fossa.
Anche lèggere versi, / se troppi, può far male: / s’è presa Ugo la taccia / di alienato montale!
Il buon contribuente / non so che mal contrasse: / certo è che lo squassano / forti colpi di tasse.
Dopo un altro contratto / di lavoro rescisso, / geme il napoletano: / “A ccà nisciuno è fisso!”
Il critico, toccato / da mania religiosa, / adesso va puntuale / ogni mattina in chiosa.
Si autoelogia Carlo / e si dà arie tanto / che per stargli di fronte / ci vuole un paravanto.
Tace il vecchio filosofo / poi tenta qualche accenno, / china il capo, s’appisola: / sta cascando dal senno.
Vecchia, la grande star / ha la testa un po’ vuota: / pensate, non ricorda / nemmeno dov’è nota!
Imposte, tasse… Passano / gli anni e vieppiù intristisco / pensando che il futuro / si fa sempre più fisco.
Ex macellaio, molti / dei suoi soldi ha investiti / comprando una rivendita / di valori bolliti.
Rimpiange i tempi andati / l’alcolista pentito, / si sente prigioniero / sempre più del passito.
Lui ama la padrona / di casa, ma ha un difetto: / ormai da quattro mesi / non gli paga l’affetto.
“Sto ingrassando” fa Ercole / “non mi va più un vestito. / Devo proprio decidermi / a fare un po’ di mito”.
Mentre lei non si sa / né con chi va né dove, / nell’osteria il marito / tranquillo mangia e bove.
Il buon palazzinaro / non è che in tutto evase / le tasse: ha solamente / omesso un po’ di case.
Frodò l’affittacamere / il fisco, zitto zitto: / finché dalla Finanza / non fu colto sul fitto.
Non scherza la vecchiaia, / ogni beltà prosciuga / e non fa sconti: arriva / e mette tutti in ruga.