MINA FOSSATI o della serena età

di Filippo Davoli

Anche il critico più avveduto, o l’amante più documentato e appassionato di Mina o di Fossati o di entrambi, si ritrova spiazzato all’ascolto di “Mina Fossati”, il disco della maturità compiuta di entrambi.

In uscita il 22 novembre, l’album contiene 14 tracce di cui 12 in duetto. E di fronte ad ogni brano, immersi nell’ascolto della bella poesia dei testi di Ivano Fossati (il cui smalto non si è ossidato, negli otto anni di lontananza dall’attività creativa) e nella felice simbiosi delle due voci – così differenti, l’una arrochita l’altra svettante, l’una scazonte l’altra distesa, entrambe intensissime – ci sentiamo trascinati in un mondo parallelo ma non distante dal nostro: anzi, lucido e attento al tempo presente; eppure contemporaneamente divertito, come sospeso in una bolla paciosa e gaudente, ironica senza sprezzo, bello nella sua complessa semplicità, nudo di fronte alla spada di ogni affondo geniale dei testi, ma libero e liberato, affrancato dalle ugge di ogni sorta e di ogni tipo. “Più in là” (come avrebbe scritto Giacomo Noventa).

Questi due giovanotti della musica italiana (lui quasi settantenne, lei prossima agli ottanta) non devono dimostrare più nulla: né a sé stessi né tanto meno a noi o a chiunque altro; per loro essere bravi non è una qualità da offrire al mondo, ma un modo e un moto di natura. È così, punto e basta. Lo testimoniano le divertentissime “Farfalle” (seconda traccia del disco), come pure fantasticamente “L’infinito di stelle” che apre l’ascolto:

“C’è ancora speranza in questa terra civilizzata soprattutto dai poeti” – canta Fossati: “Vedi che parole semplici, piccola fiamma che risplendi?”. E Mina risponde: “Nell’infinito di stelle qualcosa stanotte brilla anche per me. E tutto ha senso, c’è bellezza, spazio amore, aria di tenerezza intorno. (…) Ecco perché siamo qui”, chiariscono all’unisono, in quella che appare come una dichiarazione di intenti.

Al disco entrambi lavorano da due anni, anche se l’idea originaria era sorta in Mina ben 22 anni fa. Poi non se ne fece nulla, per mancati accordi tra le case discografiche. Ma come nel roveto ardente, su cui buttare acqua non spegne la fiamma, Mina non ha mai abbandonato del tutto l’idea. E curiosamente ha messo a segno il progetto proprio quando Fossati era felicemente distante dall’ambiente artistico, felicemente ripiegato nella sua quotidianità più anonima e familiare, più o meno come lei (sebbene lei sia sempre rimasta artisticamente attiva attraverso i dischi).

I brani – tranne Settembre (presente nella versione deluxe nelle due versioni singole rispettivamente di Mina e di Fossati) – sono tutti inediti, e tutti scritti appositamente per questo disco del 2019, in questo frangente (non provenienti dalla stiva, che pur deve esserci, di casa Fossati): pensati oggi per l’interprete numero uno della canzone italiana. Quella Mina che Ivano tiene a precisare non essere una cantante ma più propriamente una musicista: una che “scannerizza” i brani sin dal primo ascolto. E che in ogni nota che dopo emette, in ogni fiato che dopo sibila, esprime il proprio pensiero, la propria totalità. Non una che progetta a monte come dovrà cantare un passaggio o un verso, ma una che fa sua tutta la canzone contemporaneamente (dall’arrangiamento alla linea melodica), e poi – cantandola – la traduce mediandola attraverso di sé. Fossati la paragona agli assoli di Coltrane (siamo d’accordo con lui).

Volano, quei due ragazzi cresciuti: hanno dalla loro l’agio della serena e raggiunta maturità. Stigmatizzano senza moralismo, leggono la vita (che dimostrano di conoscere da vicino, di aver vissuto intensamente, ma nella capacità – propria dei riconciliati – di raccontarla senza sbavature o melanconie), accarezzandosi in essa. Volano:

Come volano le nuvole, come le ore, le notizie, i dubbi, le speranze, le bugie che sono fragili sogni. // Come volano le nuvole sopra ogni angolo di mondo, in ogni modo, in ogni posto veramente lontano giù in fondo, si allontanano, si muovono, svaniscono, riappaiono, forse ci salutano, qualche volta ci avvertono, ci guardano. Ognuno ascolta come può.”

Sì, si ascolta come si può: cercando di tutelarsi (perché anche troppa bellezza può fare male). Come quando si piove dentro La guerra fredda, e il racconto dall’uno all’altra (perché di racconto si tratta) soggioga:

Io ci penso certe volte, e lo so che qualcosa sto imparando: serve più gioia che pazienza per credere; ‘ché basta solo una parola, come fa la gente che mi piace quando s’abbraccia e si ritrova dopo il furore del temporale.

E se Mina nel 1986 artigliava la distanza dalle guerriglie quotidiane con un filino di simpatico e cinico disinteresse in Un cucchiaino di zucchero nel the (“Sì buana, vol. 2), qui non c’è spazio mai per altro che un amore perdonante, una luminosa serenità, anche nell’interpretazione piana, sobria (e somma al contempo):

La guerra fredda è fuori moda, si è spenta, è passata. Le nostre guerre non esistono più. Ma c’è una goccia di speranza, dentro parole come queste che ti mando.

Se qualcuno ha retto alla botta di emozioni, piomba su di noi la struggente Luna diamante (inserita da Ozpetek come colonna sonora nel suo nuovo film). Fossati la sottolinea appena nel finale, intervenendo in punta di piedi in quella che è una lectio magistralis di Mina:

E tu, perché non parli? Una parola sospenderebbe il mio rancore. Io non so più quello che dico. Umiliata, in silenzio, forse strappata dal mio sentimento. So che anche in piena luce saresti il mio primo pensiero. 

Canta, sussurra, graffia, decolla, si spegne, vibra, strega, fa impazzire, la Signora.

Devono aver capito – entrambi – che si sarebbero resi responsabili di nostri consumi extra di coramina, se nella seconda metà del cd si fa spazio un po’ di leggerezza (ma che belle canzoni, comunque: che brio, che eccellenza comunque la si voglia mettere): che  ludicità interpretativa, nel rendere l’intimità di coppia in Amore della domenica; e poi, anche di più, che simpatica verve ne L’uomo perfetto, che ci restituisce la Mina brillante che gigioneggia (ma senza esagerare, perché sia chiaro non ha più quarant’anni e nemmeno venti, grazie a Dio! E lei, che è una donna intelligente, lo sa; e se la gode tutta intera, la sua bella età; la sua raggiunta qualità).

È “una vertigine che non si può spiegare” (“Meravoglioso, è tutto qui”). Anche Fossati è in stato di grazia, il lungo silenzio (e una musa come “quella”…) gli hanno fatto bene; nessuna concessione a facili retoriche o a lacrimevoli “petrarchismi” (in questo i due si somigliano: aperti sempre al nuovo, progettuali per statuto costituzionale, sganciati dal proprio passato anche migliore):

Lo so con certezza, non ho visto prima d’ora niente meglio di noi due. (…) Meglio scattare in avanti più forte, perché noi siamo qui e io non ho paura. Non sono neanche triste perché ti ho davanti a me.

Belli e rotondi gli arrangiamenti di Massimiliano Pani (coadiuvato da un gradito ritorno in casa Mazzini, quello di Celso Valli, che arrangia gli archi); ottimi gli ormai consolidati musicisti Massimo Moriconi (contrabbasso e basso fretless), Danilo Rea ((piano, fender e hammond), Ugo Bongianni (pianoforte e tastiere), Alfredo Golino (batteria), Faso (basso elettrico), Luca Meneghello (chitarre acustiche, elettriche e soli), come pure gli assoli di Massimo Tagliata (fisarmonica), Gabriele Comeglio (sax alto e soprano) e Claudio Fossati (percussioni).

Ben quattordici tracce, che tuttavia trascorrono. Come dicevamo, i due nostri artisti ci invitano – anche in questo caso – a passare oltre, a voltare pagina. Senza lacci di sorta: Settembre – che viene dritta dallo splendido ultimo disco di Fossati prima di questo, Decadancing – ce lo precisa con asciutta nettezza:

Il bene che ci siamo voluti noi due è un taxi che si ferma qui.

Per noi invece la corsa dei microsolchi è destinata a ricominciare più e più volte. Inevitabilmente.

la mano di Mina sopra quella di Fossati al piano, a cura di Mauro Balletti che ha firmato la copertina, il video di Tex Mex e tutte le altre immagini contenute nel libretto

 

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