C’è soltanto un rischio (ma molto serio), nello sfogliare il meraviglioso volume fotografico “Epifanie” dell’artista romano Francesco Astiaso Garcia: quello di rimanere coinvolti, sconvolti ed estasiati su ogni pagina, senza riuscire a muoversene per parecchio tempo. Un incantamento che è anche un incatenamento.
Ho conosciuto Francesco parecchi anni orsono: ne ho avuto la fortuna, ma vorrei dire la grazia, in occasione di una sua mostra pittorica che si teneva nelle Marche, presso l’Abbazia di Rambona. Siamo diventati buoni amici, e ho avuto modo di conoscerlo più a fondo, pur riuscendo a frequentarlo meno di quanto mi sarebbe piaciuto.
In lui, nel suo approcciare il mondo (e la bellezza che segretamente lo pervade), ho sempre ammirato (ed approvato) la libertà totale dello sguardo, la fondamentale innocenza dell’approccio, la difficile arte della semplicità che appartiene agli artisti veri, a quelli cioè che non decidono da sé stessi che cosa fare da grandi, ma scoprono in sé una vocazione particolare all’ascolto, all’attenzione, all’apertura di sé, all’accoglienza della voce che chiede di essere interpretata e detta.
È la vocazione dei poeti e dei pittori, dei musicisti e dei fotografi d’arte. È la vocazione primaria degli artisti, quale che ne sia l’ambito di intervento e di ricognizione; qualcosa che sta prima della specializzazione e che, tuttavia, sta anche durante e dopo. Ma in un’ottica privilegiata di servizio e mai di possesso. Ideale ma non ideologica.
Geniale ritrattista nelle velature, funambolo inesausto in un arioso colorismo astratto che tuttavia mai si disgiunge dalla carne e dalla vita, delicato interprete dell’umanità più nuda che sa farsi diafana a ciò che di più intimo e sovrannaturale reca nascosto nel suo più profondo, oggi lo ritroviamo fotografo: del mondo, di alcuni suoi luoghi che parrebbero anonimi e invece ci riguardano, di scorci d’anima che suggeriscono Dio nelle pieghe del quotidiano, attraverso la categoria che più gli è propria: la bellezza.
Occorrerà anzitutto puntualizzare di quale bellezza si stia parlando. Se ne è occupata la Fondazione “Padre Matteo Ricci” di Macerata in un convegno tenutosi lo scorso 7 giugno presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma, col Patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, un telegramma di saluto del Presidente della Repubblica, e l’intervento di personalità come Paolo Ruffini (Prefetto del Dicastero per la comunicazione della Città del Vaticano), Song Haojie (Deputy Director Heritage and Culture Centre of Shanghai), il Prof. Li Tiangang (Chair of Department of Religiours Studies Fudan University di Shanghai), Licia Colò (autrice televisiva e scrittrice), Eusebio Astiaso Garcia (catechista itinerante del Cammino Neocatecumenale).
È grazie alla Fondazione che è stato pubblicato il volume di cui stiamo parlando: “Epifanie” (in due versioni: una in italiano e l’altra in cinese). Perché Astiaso Garcia, nel fotografare la bellezza scovata in quindici anni di ricerca attraverso i continenti, ha inteso costruire un ponte tra Italia e Cina, tra la visione occidentale della bellezza e quella orientale. E pone – a didascalia di ogni pagina – testi e riflessioni di autori atei e credenti, orientali e occidentali, dedicati al tema della bellezza.
Come scrive François Cheng, “Al primo approccio la visione della bellezza occidentale e quella orientale appaiono molto diverse ma quando il soggetto viene approfondito fino a raggiungere i sensi, siamo toccati dallo stesso mistero indicibile che ci abbraccia. In questo senso, lo scambio e il dialogo sono costruttivi e necessari”.
E in questo processo, gli artisti sono fondamentali perché – come ha detto Paolo Ruffini nel suo prezioso intervento – “gli artisti vedono e fanno vedere le cose al di là della loro apparenza. Com’è difficile vedere, senza l’Epifania. Ogni particella del creato porta iscritta in sé una traccia, un codice, un orientamento, tanto che il mondo intero si presenta come una parola. E l’uomo può contemplare così il cosmo non solo da fuori, ma anche dall’interno. Può vedere ciò che è visibile unito con ciò che è invisibile. Perché la bellezza di quel che vede gli racconta ciò che non vede. (…) Lo sguardo catturato dalle Epifanie è lo sguardo contemplativo che fa passare la luce, che fa passare il Logos. L’arte del vedere (e del rivelare) è dunque una vera contemplazione, una forza trasformatrice e creatrice. Una forza che attraverso la trasformazione del cuore e dello sguardo trasforma realmente anche il mondo. Una forza che permette di ricondurre tutto ad unità nella verità e nella bellezza originaria delle nostre vite aprendo una finestra sull’eternità.”
La forza degli scatti di Francesco Astiaso Garcia, dunque, non sta tanto nel sapére come catturare un luogo e proporlo al nostro sguardo (e lui sa come fare, non è un improvvisatore), quanto nel sàpere, ossia nella gratitudine di un’accoglienza che è prima di tutto sua, che lo interpella e si serve della sua disponibilità, per essere partecipata – attraverso di lui – a tutti noi.
Questa umiltà dell’approccio che lascia trapelare la luce, la bellezza, in definitiva l’amore che riempie e dà senso ad ogni cosa, emerge in maniera lampante e dirimente, nelle sue opere fotografiche.
Dice lui stesso, durante il convegno, raccontando questo suo lavoro:
“Mi piace considerare quest’opera come un progetto di pace e di bellezza, luogo d’incontro e di dialogo tra l’Occidente cristiano e la cultura cinese. (…) Nel cuore d’ogni uomo c’è un profondo anelito alla verità e al suo splendore: Sant’Agostino definiva la bellezza splendor veritatis. La verità unisce l’Oriente e l’Occidente, la bellezza unisce tutti e tutto. L’animo umano è abitato dal desiderio di trascendere tutti i limiti, la bellezza è fragile custode di questo insopprimibile anelito. Custodire il creato significa custodirne la bellezza.”
Mette quindi il dito nella piaga della nostra contemporaneità:
“Tutto è connesso, non esistono oggi due crisi separate: una sociale e una ambientale, c’è una sola unica e complessa crisi socio-ambientale. L’armonia secondo le antiche tradizioni cinesi, riguarda tanto l’estetica quanto l’etica, l’estetica senza etica riduce tutto ad estetismo, l’etica senza estetica conduce al moralismo. La contemplazione della bellezza ha la forza di farci scoprire la nostra divina somiglianza, mettendoci in contatto con la scintilla eterna che è in noi, spesso sepolta da troppi affanni terreni, e questo per l’uomo di oggi, italiano o cinese, è più che mai urgente, indispensabile come il pane.”
Come scrive Papa Francesco nella sua Laudato si’, “Non possiamo – continua Astiaso Garcia – sottovalutare la dimensione spirituale della conversione ecologica, esiste un intimo rapporto tra Dio, l’uomo e l’ambiente, anche se ovunque questa relazione appare minacciata. Questa è la bellezza per cui il mondo si salva, la bellezza che schiude la visione del Cielo; una sola è la speranza alla quale siamo chiamati. Non temiamo le differenze tra Oriente e Occidente; nella diversità, l’audacia creativa trova stimoli e ispirazioni per il futuro pacifico dei popoli, senza tralasciare nessuna fonte di saggezza, perché come dice Eraclito: “Da elementi che discordano si ha la più bella armonia”.
Ecco allora il nesso tra le Epifanie” e la Fondazione Padre Matteo Ricci”.
Il missionario gesuita, infatti, rimane agli occhi dei cinesi come un esempio eccellente di amicizia e di rispetto, senza per questo mancare alla propria vocazione evangelizzatrice. È quella illuminazione ratzingeriana a riguardo dell’identità: non si ha comunione con l’altro da sé rinunciando alla propria identità, bensì – al contrario – permettendo che entrambe le diversità dialoghino e crescano insieme.
I cinesi lo sanno. Gli autorevoli rappresentanti venuti da Shanghai per l’occasione lo ribadiscono con convinzione ed entusiasmo: grazie anche all’impegno solerte della Fondazione, i rapporti si vanno intensificando, coinvolgendo anche altre realtà sia italiane che cinesi, dalle università alle istituzioni, dal commercio alle arti. Si assiste – in un certo senso – ai frutti di quanto Padre Ricci, insieme al suo sodale cinese Xu “Paolo” Guangqi, seminarono nel 1600. Insieme – come è stato ricordato anche dal Dott. Dario Grandoni della Fondazione – si dedicarono allo studio delle scienze, tradussero gli Elementi di Euclide, formarono il popolo cinese sulle tecniche occidentali di ingegneria idraulica, segnando un capitolo glorioso e indimenticato.
Una bellezza che origina dall’incontro (e dall’amore).
Ma attenzione: una bellezza che non è sufficiente di per sé, come fosse una categoria autonoma; anzi – come asserisce Eusebio Astiaso Garcia nel suo splendido (e, per molti aspetti, necessario intervento) – “la bellezza è fragile”, rischia di essere “inconsistente: il suo splendore è offuscato dalla caducità, dalla corruzione e dall’incapacità di superare il tempo e lo spazio. La menzogna, il male, la violenza e le nostre brutture mettono in discussione la bellezza, resa effimera dalla morte e dal non senso della vita dell’uomo. La bellezza, richiamo alla trascendenza” (ecco il punto…), “è incapace di saziare il cuore dell’uomo, suscitando in noi quella nostalgia di Dio che Sant’Agostino espresse con accenti ineguagliabili: Tardi t’amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai! Ed ecco, tu eri dentro di me ed io ti cercavo fuori di me, e mi gettavo deforme sulle belle forme della tua creazione. Tu hai chiamato e gridato, hai spezzato la mia sordità, hai sparso la tua fragranza ed io ho respirato, e ora anelo verso di te; ti ho gustato ed ora ho fame e sete di te”.
La bellezza non è autentica se non nel suo rapporto con la verità.
“Il mistero pasquale di Cristo” – continua – “proietta una nuova luce sull’uomo e sul significato della sua esistenza. Dio ha risuscitato il suo servo Gesù e l’uomo ha nuovamente accesso all’albero della vita. Lui ha vinto la morte ed ha preso la nostra carne umana, e l’ha portata ad una trascendenza più alta degli astri, facendoci entrare nella divinità come figli di Dio.
Questa Epifania dell’invisibile che apre alla trascendenza e all’eternità apporta un nuovo slancio alla bellezza, offuscata dall’inconsistenza e dall’effimero, catapultandola alla festa senza fine alla quale aspira ogni uomo. (…) È attraverso Cristo crocifisso, immagine del Dio invisibile, irradiazione della Sua gloria e impronta della sua sostanza, che ci viene svelato il senso profondo della bellezza: l’amore. È stato l’incontro con Cristo risorto che ha fatto sì che Padre Matteo Ricci, giovane della borghesia di Macerata con un brillante avvenire, lasciasse tutto per partire per l’Oriente, sapendo che non sarebbe mai tornato. Non è andato in Cina per portare la cultura occidentale ma per portare la vita immortale per mezzo dell’annuncio del Vangelo, accettando ingiurie e opposizioni. È proprio l’amore che portava dentro a metterlo nella condizione di poter vedere la grandezza e la bellezza della cultura cinese. Li Ma Du ha amato profondamente la Cina e il nobile popolo cinese che, ancora oggi, corrisponde a questo amore con un ricordo perenne.”
Ne è testimonianza ulteriore la mostra fotografica con le opere di Francesco Astiaso Garcia, insieme a quelle del cinese Yang Dongbai, inaugurata al termine del convegno nei locali espositivi della Gregoriana. Due approcci differenti, una medesima bellezza. Sotto lo stesso Cielo e sulla stessa Terra.