Nel caravanserraglio delle uscite di libri e dischi, si fa fatica a districarsi per reperire qualcosa che valga la pena salvare e conservare preziosamente. Per la massima parte è un battage di “prodotti culturali”, uno show, una kermesse impazzita, di cui non solo non si avverte la necessità ma spesso se ne implora il black out.
Un tempo c’era solo Sanremo: era in bianco e nero, appuntamento annuale e atteso. Adesso è Sanremo ovunque: nei festival di poesia dove si avvicendano i lettori; nei premi dove la stampa si contende i vincitori, i finalisti, le scoperte; nelle riviste e nei giornali, dove sovrabbondano i consigli per gli acquisti ma manca lo spessore antico della critica. Un melting-pot dove tutto si confonde e si mescola senza unirsi. Ne viene fuori non un taglio interpretativo ma un guazzabuglio indistinto. Un calderone, appunto. Dove tutto giustifica tutto il resto e niente ha più una sua qualità originale.
Capita allora, in questo universo che si sbriciola, di veder spuntare qualche volta, tra le rovine, un manufatto di pregio: nella fattispecie un disco, un album che è anche un progetto e una dichiarazione di poetica forte.
Tre cantautrici che sono anche cantanti, con un proprio stile inconfuso e al tempo stesso partecipato; tre voci e tre storie che “si portano dietro la vita“, “la valigia del loro ieri“, con la difficile semplicità dei grandi messa a servizio l’una delle altre. E un’immancabile, quanto mai necessaria, “rotella anarchica“.
Rossana Casale, Grazia Di Michele e Mariella Nava hanno messo a punto un “lavoro” che è un “capolavoro” di grazia, di stile, di eleganza, di intelligenza, di bellezza. Un disco, inoltre, suonato davvero. Con strumenti “in carne ed ossa” (tra i quali il pianoforte di un caro amico come Emiliano Begni, da anni nell’equipe della Casale), arrangiati a New York, per i musicisti delle tre artiste, da Phil De Laura: un’ulteriore garanzia di qualità.
Un apax, tutto questo felice lavorìo, nel nostro panorama. Qualcosa che sfugge al controllo, che rompe le righe con delicatezza e sapienza. Inoltre, Grazia Mariella e Rossana offrono a Emergency i frutti di questo lavoro, sia attraverso l’album che attraverso i concerti (che sono cominciati – covid permettendo – già da un paio d’anni e, nei quali, promuovono anche altre giovani cantautrici). Uno dei singoli più significativi, a tale riguardo, è senz’altro Sotto un altro cielo:
“Noi siamo il mare aperto in balia del vento che ci sfida. Noi, che cerchiamo un porto dove riposare, quando lo troviamo riprendiamo il mare“, cantano ne L’amore è un pericolo.
E’ così ogni volta che l’arte chiama davvero: e senza il ricorso – che pare, in taluni ambiti indispensabile per fare cassetta – a malizie spesso di second’ordine, i testi delle canzoni sono tutti eccellenti, leggibili anche senza la musica, spendibili anche come testo letterario. Ma sul tappeto sonoro che le autrici hanno costruito vólano luminosamente. E le voci si integrano senza smarrire le singole identità, le quali semmai dialogano: anzi, trialogano. Si aggiungono rispettandosi. E fanno un bell’effetto, danno una gradevolissima voglia di ascoltarle e volare con loro. Come accade nel brano che titola l’album, che è anche una importante presa di posizione:
“Sembra che la vita trovi la sua vera quiete solo tra il calar del sole e l’imbrunire, quando il cielo fonde il giorno e la notte. In quei pochi secondi anche le parole importanti non hanno più bisogno di essere dette: vivono intorno.”, recita l’incipit. E suggerisce una volta di più un nostro passo indietro per far spazio a questo “pensiero guarito”, che fa bene alla vita:
“Sembra che la vita trovi la sua vera quiete solo fuori dalle grandi contrapposizioni, e che le parole profonde scelgano la propria casa laddove ci sia acqua da bere e aria da respirare. Se cancellassero <amore>, dalla nostra bocca, continuerebbe a volteggiare sopra le nostre teste”.