“Educare la Rabbia”
Un uomo appoggiato contro il tronco di un’acacia si tasta la coscia insanguinata e stringe i denti per il dolore. Porta le nocche alla bocca e impreca.
Gli corro incontro. “Come sta?”
“Lei che dice?” ringhia.
Mi gratto il capo e apro lo zaino.
Lui fa un cenno verso la foresta. “Ho provato a ingabbiarla, ma a quanto pare non era d’accordo.”
Estraggo una garza e del disinfettante. “Ingabbiare cosa?”
“La Rabbia, ma mi ha caricato.”
Cerco il cotone in tutte le tasche: non c’è. “È stato fortunato, sa?”
Solleva un sopracciglio. “Mi prende in giro?”
“Niente affatto. A volerla intrappolare, a volte, la Rabbia può anche uccidere.” Imbevo un fazzoletto di disinfettante e glielo premo sulla ferita. Non è profonda.
Lui strizza gli occhi e si passa una mano sul viso. “Ma è un flagello, come posso fermarla?”
“Può educarla.”
Ariccia il naso, scettico.
Passo tre giri di garza attorno alla coscia. “Se la educa imparerà a caricare solo quando rischia la vita. Per il resto si limiterà a correre, sbuffare, battere i piedi per terra. Potrà addirittura essere una buona compagna. Ne sarà sorpreso.”
“Lei dice?” Mi sorride. “Ma come lo sa?”
“Provo a vivere in pace con queste bestie. È complicato, ma dovremmo provarci tutti.”
La fasciatura regge. L’uomo annuisce. “Grazie, chiunque lei sia.”
“Abbia cura di sé, chiunque lei sia.”