Bestia duecentosessantaseiesima
L’Ipercontrollo si appollaia sul ramo più saldo dell’albero più robusto del bosco. Sgrana tutti e quattrocento gli occhi e ne punta ciascuno in una direzione diversa. Nessun predatore potrà sorprenderlo.
Con l’orecchio che gli sporge dalla scapola destra capta un fruscio tra le felci. Strizza dieci occhi per sondarne l’intrico, ma non trova niente. Probabilmente era solo il vento.
Da oggi in poi vivrà nutrendosi della corteccia e si disseterà coi liquidi delle foglie e con l’acqua piovana. Abbandonare la postazione è troppo rischioso: una vita disattenta ha trucidato il suo branco. Lui non morirà.
Una femmina ancheggia fra le acacie, la sua coda rosa oscilla appena. Lui si morde un labbro, inspira a fondo e deglutisce. Non la seguirà.
Le zampe gli dolgono per l’immobilità, molti occhi gli bruciano: non sbatte le palpebre ormai da ore. Però è ancora vivo.
Il cielo si rannuvola e…
L’Ipercontrollo precipita insieme al ramo spezzato, il legno alla base del moncone è in fiamme, il fumo gli brucia le narici. Lui balza a terra, il cuore gli schizza in gola e tutti gli occhi si riempiono di lacrime. Aveva ogni cosa sotto controllo, meno che il cielo: non si prevede un fulmine.
La femmina sporge la testa oltre un masso ed emette un gridolino. Adesso, forse, è arrivato il momento di seguirla.