Bestia duecentocinquantunesima
La Compiacenza restringe il corpo gelatinoso e si cala nella bottiglia che è stata preparata per lei. Aderisce perfettamente alle pareti di plastica e i solchi della superficie le rigano i fianchi. Sarebbe stato lo stesso se le avessero dato un bicchiere, un tappo o un ditale: non si sarebbe lamentata in ogni caso.
Ora che si è adattata allo spazio disponibile, di certo non la lasceranno per strada. Non resterà sola.
Il respiro le si appesantisce, la sua gelatina stagna sotto il sole, gonfia, si espande e preme contro la plastica.
Deve restringersi, deve accontentarli, altrimenti non la vorranno più.
Si contrae in una massa tremante e ogni centimetro del corpo le duole. Non può permettersi di esplodere, ma la canicola la trafigge senza pietà. Riuscirà a non spaccare la bottiglia?
Bestia duecentocinquantaduesima
La Calunnia avvinghia coi tentacoli il muso della Verità e lo fa scomparire sotto il suo corpo molliccio. Sul capo le compare un’ampia bocca che si spalanca e rigurgita Parole ingiuriose, insetti mefitici che circondano la Verità per dissuadere chiunque le si voglia avvicinare.
Così uno strano ibrido avanza nei prati: ha il corpo peloso di un mammifero quadrupede, un mollusco al posto del capo e una moltitudine di appendici che gli brulica attorno.
La Verità resta sola, cieca e muta.
Bestia duecentocinquantatreesima
La Felicità nuota nella scia di un mercantile e la perla che tiene sulla lingua le rotola da un lato all’altro della bocca. Dopo aver fatto tanta strada la pinna caudale inizia a dolerle un po’.
A poppa del mercantile c’è un uomo affacciato con le braccia poggiate sul parapetto. La fissa con occhi stralunati e continua a fuggire: senz’altro la crede un mostro pericoloso.
La Felicità vorrebbe raggiungerlo, ma da sola non può. Si troveranno solo se l’uomo correrà il rischio di calare una scialuppa e le andrà incontro. Allora lei potrà consegnargli la perla che gli spetta.
Bestia duecentocinquantaquattresima
La Litigiosità spicca il volo dal corno appuntito di una Rabbia repressa. Davanti a lei uno stormo di gabbiani fende le nuvole basse.
La bestia china il capo, accelera e li raggiunge. Agita le grandi natiche e urta il fianco dell’uccello più vicino, che oscilla e sbatte le ali per riprende quota. Lei, allora, scarta di lato per portarsi alle spalle di un esemplare più grosso, gli becca la coda e dà uno strattone per staccargli una piuma, così quello lancia uno stridio acuto, scalcia e cambia traiettoria.
Un giovane vola appena discosto dallo stormo. La Litigiosità gli si fa incontro e gli colpisce il dorso con una zampata. Il gabbiano volta il capo e stringe le palpebre: un lampo attraversa la sua iride biancastra. Spalanca il becco adunco e garrisce.
Finalmente la Litigiosità ha trovato pane per i suoi denti e presto potrà portare a termine la missione che la Rabbia le ha affidato. Chissà, però, se servirà davvero a qualcosa.
Bestia duecentocinquantacinquesima
La Follia agita le pinne sul colmo di una duna. I suoi occhi seccati dall’arsura sono bottoni ciechi che sembrano fissare un altrove lontanissimo. Le sue branchie si aprono e si chiudono con un ritmo irregolare e la sua bocca si spalanca in un piccolo ovale perfetto.
Una vipera le striscia attorno e il suo corpo disegna un solco ondulato nella sabbia. Fa oscillare la lingua biforcuta e s’immobilizza: non osa procedere oltre. Che ci fa un pesce nel deserto?
La Follia non dà risposte. Continua a dibattersi e ogni colpo di coda la sposta in modo quasi impercettibile. Avanti, indietro, di qua, di là. Non sta mai ferma, eppure è come se non si muovesse.
La vipera sibila e tende il collo. La Follia impietrisce, la bocca le rimane spalancata. Quell’espressione attonita pare rivolgere al serpente un interrogativo speculare al suo: che ci fa una vipera nel mare?