da Fabrice Hadjadj, Mistica della carne. La profondità dei sessi, medusa, Milano ,2008
<L’uomo delle caverne è apparso solo nel XIX secolo. Precedentemente, ci si figurava che prima di noi , la terra fosse abitata da dei. Il greco evoca una razza d’oro per la quale “tutto era bello” (Esiodo, Le opere e i giorni, vv. 106-120). L’indio guaranì canta dei padri usciti da Ñamandu dalla “divina pianta del piede”. I primi uomini veneravano antenati sublimi: non immaginavano che potessero discendere da una scimmia. Per cominciare a crederlo, ci voleva un borghese inglese. In piena espansione del capitalismo. Negli anni in cui vengono creati il generatore elettrico e la società anonima.
A quei tempi, le fabbriche divoravano proletari e i poveri dovevano andare a lavorare, dato che era vietato mendicare. Karl scriveva contemporaneamente a Charles. I due autori la pensavano allo stesso modo nell’Inghilterra produttivista. La Critica dell’economia politica apparve lo stesso anno dell’Origine della specie. Il pensiero della rivoluzione, quello dell’Evoluzione, si tengono per mano. Si crede al progresso dell’uomo a causa del progresso delle sue risorse. Si vede nella tecnica uno strumento di salvezza. Nel 1862, nella sua prefazione alla prima traduzione dell’Origine, Clémence Royer scriveva:
“La dottrina di Darwin è la rivelazione razionale del progresso, che si afferma nel suo antagonismo logico rispetto alla rivelazione irrazionale della caduta”.
L’epoca si fabbrica una mitologia su misura. Alla Caduta fatale, essa sostituisce la Discendenza casuale; all’Elezione sovrannaturale, la Selezione naturale. L’Homo sapiens, nato da innumerevoli colpi di dadi con poste in gioco sempre raddoppiate, dovrebbe la propria sopravvivenza a una maggiore capacità di adattamento. Comincia con l’alzarsi in piedi per meglio prevenire i predatori che lo spiano; eredita un paio di mani a guisa di primo coltello multiuso; si costruisce capanne, taglia selci, doma il fuoco. La nuova rivelazione lo proclama: l’uomo deve tutto alla propria industriosità.
L’industria può dunque esigere quanto le spetta. E’ da questa che procede l’ominizzazione. E’ grazie a lei che l’uomo delle caverne, ancora scimmia pelosa, è diventato poco a poco gentleman-farmer o membro del Partito. Come potrebbe non abbandonarsi anima e corpo a questa brava madre?
Chesterton, inglese pure lui, giudicava insolente questa visione delle cose. Ne proponeva un’altra, cavalleresca:
“l’autore del romanzo d’amore realista che scrivesse: Il sangue batteva alle tempie del Barone che sentiva gli istinti dell’uomo delle caverne risvegliarsi in lui, deluderebbe il proprio lettore se il signor Barone si accontentasse poi di andare in salotto a disegnare mucche sulla carta da parati. Lo psicanalista che spiega al proprio cliente: La rimozione dei vostri istinti d’uomo delle caverne vi spinge, senza alcun dubbio, a soddisfare un desiderio violento, non parla del desiderio di dedicarsi all’acquerello o di moltiplicare gli schizzi della postura della testa di un bue mentre rumina. E’ un fatto, però, che l’uomo delle caverne si dedicava a questi innocenti e pacifici passatempi”.
Indubbiamente, somigliava molto agli svizzeri di oggi. Contemplava laghi. Parlava con un accento strascicato. Creava, come a Losanna, una fondazione per l’Art Brut. “Non appena cerchiamo di osservare l’uomo da zoologi – precisa Chesterton – ci accorgiamo che egli non c’entra con la zoologia. Non appena cerchiamo di fare di lui un quadrupede dritto sulle zampe posteriori, comprendiamo che sarebbe un quadrupede altrettanto miracoloso di un Centauro che galoppa nelle praterie del Cielo”.
Per quanto concerne la sua sessualità, approfittando del fatto che l’uomo delle caverne non può farci causa, taluni sostengono che egli trascinasse la propria donna per i capelli o zompasse addosso alla prima che vedeva al ruscello. E’ diffamazione. La bestialità, in noi, è tardiva: appartiene a quelle civiltà raffinate che credono che tutto sia permesso e che, in conseguenza di ciò, entrano nella loro fase di decadenza. L’uomo primitivo trattava la donna secondo l’ideale più scrupoloso. Figuratevi il suo stupore: versava in lei quel liquido color opale e, nove mesi dopo, ella glielo restituiva in un uomo, il futuro sciamano della tribù! Come non tremare davanti a questo prodigioso alambicco? Come non inginocchiarsi davanti al paiolo degli spiriti? Egli non poteva trattare la donna che con una deferenza soffocante, rivestendola di simboli, scolpendola nella pietra, venerandola con glutei la cui enormità sottolineava il suo carattere sovrano (“L’uomo non ha coda, ma possiede glutei, a differenza di tutti i quadrupedi”, Aristotele, De partibus animalium, IV, 689 b).
Non avrebbe mai inventato la classe dei primati per inserirvela. Avrebbe temuto la vendetta degli dei. Se gli si deve rimproverare qualcosa, è, forse, questa superstizione.>