Bestia novantaseiesima
La Condiscendenza viene al mondo e subito una voce le impone di abbassare lo sguardo. Lei piega il collo e fissa i ciottoli ai suoi piedi, la schiena le si flette seguendo il movimento del capo. Vuole piacere a chi la comanda, perciò asseconderà i suoi capricci. Diverrà rachitica e stentata, curva come una zanna d’elefante, così non deluderà quella voce.
Ha i muscoli dorsali in fiamme e un peso nel petto: è la sua identità che avvizzisce e si raggruma. Inspira, ma l’aria non riesce a penetrarle nei polmoni compressi.
D’un tratto la rabbia finora inascoltata le graffia le pareti dello stomaco. Una fitta le lacera il ventre.
Forse, se trasformerà quella rabbia in rivolta e cambierà pelle, muscoli e ossa, potrà evadere dalla gabbia del suo corpo in rovina e diventare finalmente se stessa.
Bestia novantasettesima
L’Intimità riposa nel caldo incavo di una quercia, sotto una coltre di foglie secche.
Un raggio di sole fende obliquo la penombra e le riscalda il muso. Lei poggia la guancia contro il petto soffice della creatura sua compagna. Il battito di un cuore che conosce le fa da balsamo e da nenia.
La luce si affievolisce, fuori incombe il buio. Ma lì dentro, nella tana che si sono costruite, il freddo non potrà ghermirle. In un silenzio che non conosce imbarazzo i loro respiri si alternano, s’intrecciano, si accordano.
Scende la notte: il sonno le sorprenderà abbracciate.
Bestia novantottesima
La Negligenza è una costruttrice di tane pericolanti.
Mulina le zampette sul terriccio umido e sbadiglia. Con un’unghia picchietta sul soffitto della galleria: forse una piccola crepa si sta ramificando verso le pareti, ma con gli occhi che si ritrova lei non riesce a vedere granché. Pazienza! Se anche fosse, non sarebbe certo la fine del mondo.
Percorre i cunicoli a ritroso e riemerge alla luce del giorno. È tempo di tornare alla sua, di tana. Fischietta e dilata le narici per trovare la scia odorosa che la riporterà a casa.
Alle sue spalle si leva un tonfo. Chissà cosa è stato! In ogni caso, niente che la riguardi: la strada è ancora lunga, non ha tempo da perdere.
L’erba fresca le solletica la pancia, il profumo delle fresie la inebria. È una giornata magnifica.
Bestia novantanovesima
La Misantropia capta l’odore di un essere umano. Arriccia il naso, un brivido le corre lungo la schiena e le fa drizzare il pelo. Gli umani sono tutti uguali, tutti come l’uomo che, quando era ancora cucciola, le piantò la punta di uno stivale nelle costole. Non commetterà l’errore di avvicinarli di nuovo.
Si nasconde dietro un glicine e sporge appena la testa. Un uomo è seduto su una panchina e dà da mangiare ai piccioni. Sembra mansueto, potrebbe mostrarglisi e… Un conato le squassa la gola.
Si acquatta contro il tronco, si pulisce i baffi con le zampe anteriori e fugge.
Forse un giorno o l’altro il fiuto la ingannerà, allora potrebbe incappare in un umano gentile e scoprire il piacere dell’eccezione. Ammesso che un umano gentile esista davvero.
Sputa per terra. Di certo non accadrà mai.
Bestia centesima
La Viandanza ha un piccolo guscio sulla schiena, ed esso è la sua casa. Striscia sul sentiero e centimetro dopo centimetro diviene quel sentiero: ogni palmo di terra toccato è un pezzo del suo corpo. Lungo la via raccoglie e porta con sé solo l’essenziale: ricordi, avanzi, visioni e canti d’uccello. Il suo passaggio riscrive la strada, e la strada riscrive la sua identità. Sa quando parte, ma non sa quando né se arriverà. Quel che conta è andare.