Bestiario delle emozioni

di Francesco Cangioli

Bestia cinquantaseiesima

L’Umiliazione è un uccello senz’ali circondato dallo starnazzio di uno stormo sadico.
S’infila in un cespuglio di spine per celare la propria mancanza, ma i ramoscelli radi e secchi non bastano a coprirlo.
China il capo e abbassa le palpebre: non può far altro che attendere.
Lo stormo vola via in un frullio di piume nere.
Lui resta immobile, col ventre martoriato dalle spine. Un velo d’ombra gli appanna la vista. Cosa farà delle proprie ferite?

Bestia cinquantasettesima

La Possessività ha un baratro nel petto. È come un gorgo pronto a risucchiarla, a farla scomparire.
Una bestia le si avvicina: può forse completarla?
La Possessività spalanca l’ampia bocca in un sorriso, la lingua le sfrega contro i canini aguzzi.
L’altra creatura si sporge ad annusarla, lei scatta in avanti e la fagocita.
L’abisso che la consumava è colmato. La sua preda era il pezzo mancante, divorarla è stato un atto d’amore.
Ma là dentro, in uno spazio forse troppo angusto, la preda si dibatte, grida, scalcia.
La Possessività, terrorizzata dal vuoto che di nuovo incombe, serra le mandibole e deglutisce per non farla uscire. Se riuscisse a scappare per lei sarebbe la fine. Tornerebbe la solitudine, la minaccia d’annientamento.

Bestia cinquantottesima

Il Sogno emerge dalla nebbia volando a mezz’aria. Il suo corpo serpeggia e spande nella notte gocce di colore che si allargano a formare pinnacoli di roccia, sentieri tortuosi fra colline di terra rossa, piccoli fiori dai petali luminescenti. Fa oscillare la coda piumata come se fosse un pendolo e fischia una canzone antica.
Intorno a lui danzano in cerchio Ricordi, Desideri e Paure.
Si mimetizza all’interno della propria creazione. Solo i suoi occhi cangianti balenano qua e là a rivelare l’inganno.
Una luce accecante trapassa la scena: la Veglia si affaccia e dissolve l’incantesimo.
Il Sogno si rivela e scivola via, si confonde nella nebbia che batte in ritirata.
Ma tornerà.

Bestia cinquantanovesima

Il Fallimento giace ai piedi dell’acero. Le zampette tremano piegate sotto l’addome, le ali sbattono a vuoto.
Gira la testa di qua e di là, disorientato. È caduto, si è schiantato ed è solo.
Potrebbe restare dov’è, lasciarsi divorare dal Rimorso, calpestare dalla Rabbia.
Si solleva sulle zampette. Fitte lancinanti gli tormentano i fianchi e la schiena. Serra il becco e inspira.
Il suo nido è ancora lassù, non tutto è perduto. Scalare l’albero sarà difficile, volare ancora di più.
Si volta, tende gli artigli e afferra la corteccia.

Bestia sessantesima

Il Pessimismo scava una buca e vi pianta dentro il muso. Tutto si fa buio.
Il sole gli arroventa la schiena, l’oscurità lo rende cieco. La situazione non può che peggiorare.
Squittisce disperato, ma neppure l’eco gli risponde: sarà morta senz’altro.
Non solleva la testa per ritrovare la luce, né scava più a fondo per ripararsi dalla canicola. In entrambi i casi qualcosa potrebbe andare storto.
Fuori dalla buca la temperatura cala, la schiena smette di bruciare. Forse il sole sta tramontando e adesso lui morirà di freddo. Tanto vale restare dov’è: qualunque cosa faccia, alla fine andrà male.

 

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