Una nota su “Da un paese vicino” di Giampiero Neri

Luca Ariano

Giampiero Neri (1927) è considerato un decano della poesia italiana (nonostante un esordio tardivo nel 1976 presso Guanda con L’aspetto occidentale del vestito); definito “maestro in ombra”, è sicuramente uno dei poeti più importanti del Secondo Novecento.  Tre anni dopo Via provinciale (che in questo libro ritorna tra i luoghi del poeta lombardo) pubblicata presso Garzanti e l’antologia Non ci saremmo più rivisti (Interlinea 2018), Neri dà alle stampe un testo completamente inedito. In oltre quarant’anni di pubblicazioni presso grandi editori come Guanda , Mondadori e Garzanti, Neri pubblica presso un piccolo editore per cui va dato merito alle Edizioni Ares (dopo Ritorno ai classici a cura di Alessandro Rivali 2020, recensito da chi scrive sempre per Nuova Ciminiera) di aver stampato questo prezioso libro. Da un paese vicino esce nella collana I narratori, non possiamo certo definirlo un libro di narrativa, ma nemmeno di poesia pura come spesso viene intesa. In quest’opera è subito evidente l’impronta stilistica di Neri che ci dona queste prose poetiche (termine riduttivo che comunque non rende appieno l’idea di questi scritti) che vedono tornare alcuni personaggi già presenti in altre raccolte come il celeberrimo professor Fumagalli:

 

“Anche l’arrivo del professor Fumagalli all’istituto
Carlo Annoni aveva segnato qualcosa di insolito
nell’andamento normale della scuola.
Il professore aveva chiesto e ottenuto di portare
gli studenti all’aperto, al parco comunale dove
avrebbe dato le sue lezioni di lettere e storia.”

 

Giampiero Neri

Così l’ha ben definito Roberto Galaverni recensendo il libro per La lettura del “Corriere della sera”: “Chi ha familiarità con la sua opera poetica potrà subito riconoscerne le modalità espressive più tipiche e consolidate, a partire appunto da una poesia in prosa estremamente severa e giudiziosa, in cui le reticenze, le lacune, il non detto, contano almeno quanto ciò che viene effettivamente dichiarato. Tuttavia è indubbio che in questo libro la connessione tra i diversi componimenti, costituiscano un fatto comunque nuovo per lo scrittore lombardo.

Colpisce la straordinarietà creativa di Giampiero Neri che  si esprime con questi raccontini in versi o meglio, “romanzo di epigrafi” come l’ha definito Davide Brullo in un’interessante e acuta recensione su “Pangea”: “Giampiero Neri scrive in prosa, ma la sua non è ‘poema in prosa’ né ‘prosa poetica’, al modo delle Illuminazioni, di René Char, di Edmond Jabés. In quel caso, la prosa non placa l’enigma: lo moltiplica. La prosa di Neri è ancora meno della prosa, come un falegname che riduca una sedia a un fiammifero. Per questo, infiamma. Le prose di Neri sono poesia perché tolgono: la stanza non è arredata da altro che da voci, bisbigli, fraintendimenti, frantumi. Ombre date alle fiamme. “ Sicuramente molti versi di questo libro sono folgoranti tanto che paiono delle epigrafi e degli aforismi inseriti all’interno di un discorso più articolato in prosa:

 

“Al rumore si era affacciata sua mamma, che
abitava sopra di noi, la zia Ester, e aveva comandato:
«Ezio, vieni su. Non giocare con quel cretinetti
in vacanza.”

 

Questa chiusa pare quasi la battuta di una sceneggiatura di un film neorealista di Pietrangeli o di Risi e non è certo l’unica di questo libro molto denso che comprende LX testi, cosa che spesso quasi spiazza il lettore:

 

“Cambiato lo scenario verso la fine degli anni
’30, qualche anno dopo eravamo in guerra. Quando
uno studente si era augurato che cadesse una
bomba sulla scuola, gli aveva gridato: «Imbecille!”
e gli ha scagliato contro l’antologia di poesia
italiana che aveva sulla cattedra.”

 

Da un paese vicino non è solo un libro autobiografico denso di personaggi e vicende, ma un’opera ricca di spunti e riflessioni letterarie, filosofiche, poetiche (nel perfetto stile di Giampiero Neri, ma costruito come un romanzo puro) che ci mette davanti a vicende storiche dell’Italia, di varie epoche e passaggi della vita vissuti dal poeta, di un Paese cambiato nei decenni che spesso oggi rivediamo solo in film e romanzi e l’autore pare quasi portarci in viaggio con una cinepresa per mostrarci luoghi e personaggi:

 

“Aveva preso la patente e guidava una delle
prime macchine, una «Topolino».
Quel pomeriggio, quasi sull’uscio di casa, mi
aveva detto: «Vado a Como. Vuoi venire?». È stato
un viaggio avventuroso, abbiamo anche avuto un
pauroso testa coda, la macchina era slittata su un
tratto ghiacciato di strada.
Poi Como ci aveva accolti con il suo ridente
paesaggio.”

 

Libro che apre a numerorissimi spunti come ha saputo regalarci l’intera produzione di questo straordinario poeta che a 93 anni ancora riesce a stupirci, emozionarci, commuoverci, farci riflettere con nuovi testi in cui non manca mai la Letteratura (Il Maggi per esempio), ma anche Dante spesso con un tocco ironico:

 

“Di Dante, della sua vita sappiamo poco, ma in quel
poco un particolare mi sembra significativo.
Si dice infatti che Dante camminava a testa
bassa.

 

Chiudo questa breve recensione con la prosa XXIII dove con sarcasmo definisce così i poeti:

 

“È noto che i poeti sopportano malvolentieri che si
parli d’altro, piuttosto che di loro stessi.”

 

 

 

I

 

Al giardino si entrava per un cancelletto di legno
che non aveva chiusura.
Era un luogo abbastanza grande, coltivato in
parte a ortaglia e piante da frutta, di prugne per lo
più, che crescevano rigogliose.
A sud confinava con il campo di un contadino,
un vero spauracchio, che a volte si affacciava
con la sua testa calva al muricciolo sbrecciato che
divideva i due terreni.

 

V

 

La casa di via Mainoni aveva un grande terrazzo
che ospitava qualsiasi ingombro, come il vecchio
divano di vimini fuori uso.
Di quel divano avevo fatto il mio ridotto e la
base per viaggi sulla luna, un viaggio che appassionava
mia madre nei primi anni ’30.
Quanto alla luna bisognava ancora aspettare,
ma in paese era arrivato un «lunatico», un ragazzo
venuto da chissà dove che camminava sui trampoli,
una assoluta novità per noi.
Qualche volta, passando nella strada, sopravvanzava
il balcone del nostro terrazzo e dava
un’occhiata. Sembrava di vederlo ridere.

 

Back to Top