Quando cultura e territorio si fondono in un circuito proficuo: l’attività di ricerca e le mostre del Centro Studi e della casa-museo “Osvaldo Licini” di Monte Vidon Corrado. Un esempio di come le Marche del Sud possano tentare di rinascere grazie ad investimenti strutturali nella cultura locale.
“Ti scrivo dalle viscere della terra, la “regione delle madri” forse, dove sono disceso per conservare incolumi alcuni valori immateriali, non controvertibili, certo, che appartengono al dominio dello spirito umano. In questa profondità ancora verde, la landa dell’originario forse, io cercherò di recuperare il segreto primitivo del nostro significato nel cosmo”. E’ in una lettera del febbraio del 1941 al filosofo Franco Ciliberti che il pittore marchigiano Osvaldo Licini descrive la spinta interiore, lo slancio creativo, che il vivere immerso nella campagna marchigiana, dopo tanto viaggiare per il mondo, gli provocava.
E questa osmosi tra la natura verdeggiante, fino alle vette azzurre dei monti Sibillini, e l’interiorità dell’artista si coglieva tutta nella mostra La regione delle madri. I paesaggi di Osvaldo Licini da pochi giorni chiusa definitivamente, dopo che le norme anti Covid-19 ne avevano forzatamente imposto la sospensione. E’ l’ultima iniziativa in ordine di tempo del Centro studi “Osvaldo Licini” che opera nel piccolo borgo di Monte Vidon Corrado, dove il pittore nacque e da cui ha preso il via una parabola artistica che ha portato i suoi dipinti in tutto il mondo. L’esposizione era dedicata principalmente alla fase figurativa degli anni Venti e Trenta, quando Licini dipingeva en plein air le colline della campagna marchigiana, i monti improvvisi e irti dell’Appennino, i borghi appesi sopra i cocuzzoli rocciosi e certe marine brumose che sanno di Adriatico, cercando di esprimere attraverso la natura la sua sete di assoluto. All’interno degli ambienti della casa-museo, dove visse fino alla morte, la mostra metteva in evidenza come questi dipinti siano stati il necessario prologo a quella antropomorfizzazione del paesaggio rappresentata dal ciclo pittorico della maturità, in cui sulle linee diagonali e stilizzate del medesimo orizzonte si librano creature misteriose, gli Olandesi volanti e le Amalassunte, o corrono impetuosi gli Angeli ribelli. L’approdo al figurativismo fantastico di Licini si nutre dei cieli blu cobalto, delle colline verdi e ingiallite dal sole, dei casolari disseminati e spenti, che poteva ammirare dalle finestre della sua casa, collocata in cima al paese e prossima a un belvedere che si apre ancora oggi su un orizzonte infinito.
Vogliamo parlare di questa iniziativa per sottolineare come la creazione, voluta dal comune di Monte
Vidon Corrado e dalle istituzioni regionali, di un centro studi permanente sul grande pittore e il sapiente restauro della sua casa natale, realizzato dalla Provincia di Fermo, siano un esempio di come si possa valorizzare con la sola forza della cultura un intero territorio. Monte Vidon Corrado, che al suo concittadino e alle sue opere ha dedicato anche gran parte della sua toponomastica, si trova in quell’aria sfortunata delle Marche meridionali colpita dalla globalizzazione economica, danneggiata e ancora ferita dagli effetti del terremoto del 2016 e, da ultimo, isolata dalle norme anti-pandemia che, in modo forse un po’ semplicistico, sono state applicate in egual modo a realtà urbane e sociali diversissime.
L’augurio è che investimenti strutturali simili a questo si moltiplichino e vadano a costituire le singole maglie di una rete in grado di collegare i grandi circuiti turistici, la cultura popolare, e non (ancora) massificata, alle piccole e preziose realtà locali di cui è ricco il nostro Paese.