E’ uscito il Meridiano dedicato all’opera di Gianni Rodari. Per l’occasione, Luca Ariano ha intervistato la curatrice del volume, Daniela Marcheschi:
Luca Ariano – Quando si è accostata alle opere di Gianni Rodari? Da bambina – come tanti – per poi leggerlo e rileggerlo tutta la vita, oppure da studiosa, in un secondo momento, approfondendo i vari aspetti dei suoi scritti?
Daniela Marcheschi – L’ho letto un po’ da ragazzina. Più tardi, a partire dall’approfondimento dell’esperienza e delle opere di Collodi, ragioni di studio mi hanno portato a occuparmene più volte in lezioni, conferenze e scritti vari.
L.A.: Come mai secondo lei a lungo la scrittura per l’infanzia, come anche i libri di Rodari sono stati considerati “Letteratura di Serie B”? Lui stesso, con amara ironia, la definì così (naturalmente ben conscio di non essere scrittore di Serie B). Inoltre soffrì molto di essere osteggiato dai suoi stessi compagni del Partito Comunista, nonostante avesse incarichi di rilievo all’interno del Partito e scrivesse per “l’Unità”. Come mai questo ostracismo sebbene le sue opere venissero lette e apprezzate dai “più piccoli” e non solo?
D. M.: Purtroppo in Italia hanno avuto un forte peso le considerazioni di Benedetto Croce che collocava la letteratura per l’infanzia in una categoria inferiore. Croce aveva scritto sulle Avventure di Pinocchio, definendolo «il più bel libro della letteratura infantile italiana», capace di trovare «le vie del cuore». Il capolavoro collodiano era bello, proprio perché non era «un più o meno abile prodotto pedagogico o altrimenti pratico, privo di vita e pregio artistico» (Pinocchio, «La Critica», 20 novembre 1937). I seguaci di Croce, però, non hanno còlto quanto Croce dicesse in più, ossia che si doveva rinnovare la letteratura per l’infanzia, piena di stravaganze e insulsaggini, di indottrinamento. Non si dimentichi che scriveva il suo saggio durante il Fascismo… In un contesto culturale come il nostro, dove il pensiero di Croce non è mai stato attraversato veramente (si pensi alla opposizione da lui istituita fra letteratura e giornalismo, che molti continuano a ripetere pedissequamente da più di un secolo), Rodari ha dovuto faticare non poco, anche perché, appunto, era ben conscio del valore della sua scrittura e dei suoi libri, ricchi di innovazioni formali.
Quanto ai rapporti con il Partito Comunista, da approfondire ulteriormente, probabilmente gli pesavano l’autoritarismo e la rigidità di allora. Marcello Argilli racconta nella sua biografia che non era raro che Rodari criticasse Palmiro Togliatti e altri dirigenti politici comunisti, prendendoli in giro. È un fatto che nel 1958, due anni dopo la rivoluzione d’Ungheria, Rodari lascerà “l’Unità” per “Paese Sera”, dove l’aria era diversa.
L.A.: Qual è stato l’approccio per raccogliere tutte le opere di Rodari in un Meridiano? Non pensa sia un riconoscimento tardivo e che ancora troppi considerino il suo lavoro “minore”, perpetuando lo stesso equivoco che si manifestò con Collodi e Pinocchio?
D.M.: L’intento è stato quello di valorizzarlo come scrittore tout court: precisamente dimostrare che né Rodari né la letteratura per l’infanzia sono “minori”. Rodari come scrittore e intellettuale, che pensa nodi formali importanti della letteratura italiana e questioni ancora oggi fondamentali per la nostra cultura. Nodi che lui ha sciolto in maniera originale e rispetto a cui i nostri contemporanei sono ancora più arretrati: basta consultare le storie della letteratura in uso.
Il riconoscimento è arrivato ora, perché è la cultura italiana che è in forte stasi se non, lo ribadisco, arretramento: spettacolo, conformismo, intellettuali lontani dalla vita pulsante del Paese e, soprattutto, che non si considerano più “lavoratori della mente” intenti a procedere accanto ai “lavoratori del braccio”. Disprezzano anzi quel popolo di cui dovrebbero essere portavoce e verso cui dovrebbero assumere precise responsabilità: alimentare la cultura, produrre idee utili, fertili per migliorare la Nazione. Disprezzano la cultura e la letteratura popolare confinata perlopiù nell’ambito degli studi etnografici.
Personalmente, da studiosa, docente e critico della letteratura, sono lieta di aver contribuito a far includere sia Collodi sia Rodari nella collana dei “Meridiani” (diretta da Ernesto Ferrero, per il primo; e da Renata Colorni, per il secondo).
L.A: Rodari è stato definito un ecologista ante litteram in anticipo sui tempi. Per lei è davvero così? Che rapporto ha lo scrittore piemontese con la natura e il paesaggio? Crede che, trasmettendo una certa consapevolezza del Pianeta Terra con le sue peculiarità ai bambini, si potrebbe salvare il Pianeta dalla catastrofe verso cui inesorabilmente stiamo andando incontro?
D.M.: Rodari amava la natura: non a caso si fece costruire una casa a Manziana. È uno dei pochi scrittori che ha studiato e apprezzato da sempre la scienza in un contesto in cui le due culture, scientifica e umanistica (ma la scienza chi la fa? gli extraterrestri?…), erano giudicate in opposizione. Logico che conoscesse e denunciasse i pericoli di uno sviluppo scientifico autoreferenziale, dall’inquinamento alla manipolazione genetica. Basta leggere i quattromila e passa corsivi di Benelux (la rubrica da lui tenuta su “Paese Sera”), ma anche tanti altri pezzi precedenti, per constatare come Rodari seguisse attentamente, da giornalista appunto, i problemi dell’industrializzazione, dell’ambiente ecc.
Per Rodari, i bambini sono l’utopia che si fa concreta: è quel poco di domani che si immette via via nell’oggi. Dovrebbero esserlo per tutti; e certo che sono una speranza per la terra.