Finalmente, dopo tanti anni di oblio editoriale, sono state pubblicate negli “Oscar Moderni Baobab” Tutte le poesie di Leonardo Sinisgalli, a cura di Franco Vitelli che così ha scritto nel suo saggio introduttivo: “Sicché, tornano attuali il pensiero e l’azione del poeta di Montemurro. È tempo di un ritorno a Sinisgalli, figura da scandagliare nella pienezza delle sue potenzialità di intellettuale capace di rispondere alle esigenze di un mondo complesso. Egli ha capito per tempo il danno che procura chiudersi nella settorializzazione; più vale tracciare i sentieri di una interna comunicazione che solo garantisce lo spirito unitario tra specializzazione e universalità del sapere.” La pubblicazione fa seguito a quelle di Furor Mathematicus (sempre negli “Oscar Moderni Baobab”) e dei Racconti negli “Oscar Moderni”. Impulso alla pubblicazione dell’opera omnia del poeta lucano è stato dato dalla Fondazione Sinisgalli di Montemurro che da decenni si occupa della memoria e della diffusione delle sue opere. Sinisgalli è stato uno dei poeti più interessanti del Novecento e sicuramente un intellettuale poliedrico che non si è occupato solo di poesia, ma anche di pubblicità, arte e matematica.
La sua formazione fu scientifica (doveva far parte dei “ragazzi di via Panisperna” di Enrico Fermi, ma all’ultimo rifiutò per dedicarsi alla Letteratura e non solo) e ciò lo rende un unicum nel panorama italiano della poesia. Questo volume, ben curato da Franco Vitelli, parte dalla raccolta Cuore del 1927 (a lungo abiurata dal poeta di Montemurro) fino alle poesie di Più vicino ai morti e alle sue versioni dell’Antologia palatina. La prima raccolta, ancora acerba, mette in risalto l’influenza dei poeti crepuscolari come Sergio Corazzini e anche dei simbolisti francesi, ma è con le 18 poesie pubblicate nel 1936 per All’insegna del Pesce d’oro a cura di Giovanni Scheiwiller che Sinisgalli si fa apprezzare da critici e poeti come Gianfranco Contini e Giuseppe Ungaretti. Il suo “esordio” con una raccolta composita avviene nel 1943 con Vidi le Muse che raccoglieva poesie scritte dal 1931 al 1942 presso Mondadori nella prestigiosa collana “Lo Specchio) con un saggio di Gianfranco Contini. La terra natia è sicuramente uno dei temi dominanti assieme agli affetti famigliari e ai personaggi della Lucania (della quale ha scritto numerosi racconti autobiografici): “I cani allentano la corsa / Tra i pali arsi delle viti. / Così bassa è Orione / Queste sere miti di fine d’anno. / Oscilla il Carro d’oro a questa svolta. / Tu guardi l’alba della luna rossa / Nell’uliveto. La collina è scossa / Da un rumore di frantoio. / Fresca è la ghiaia: sui passi tuoi / La ruota non la spezza. / Perduta alle spalle la fanciullezza / Si fa più lontana, ombra / Cieca nella polvere.” (1 delle 18 poesie). Non solo la Basilicata, ma anche i luoghi del suo vissuto come Milano sono presenti (San Babila per esempio: “Trascina il vento della sera / Attaccate agli ombrelli a colori / Le piccole fioraie / Che strillano gaie nelle maglie. / Come rondini alle grondaie / Resteranno sospese nell’aria /Le venditrici di dalie / Ora che il vento della sera / Gonfia gli ombrelli a mongolfiera.”) e anche i tanti animali ed insetti che spesso ritorneranno nelle sue opere. Mosche in bottiglia (1975) esemplare già nel titolo ma in numerose poesie ricorrono non solo insetti ma anche uccelli: “Vengono anch’essi a scaldarsi / accanto al camino i vecchi Dei. / Viene intirizzita a chiederci asilo / la civetta della neve. “(La civetta della neve).
Il percorso di Sinisgalli proseguirà fino alla morte (1981), i libri vedranno l’alternarsi di poesie e prose poetiche, mentre in ultimo la sua poesia diverrà sempre più epigrammatica e legata al tema della morte (in particolare dopo la scomparsa della moglie) e degli affetti. Si pensi a Più vicino ai morti in cui la morte ricorre spesso, ma il tono è meditativo e filosofico: “Più vicino ai morti, / con pochi / che bevvero acqua / della stessa fontana.” (XXX). Molto interessante per comprendere appieno le poesie di Sinisgalli, il saggio iniziale di Franco Vitelli (Sinisgalli stesso prima di morire volle che fosse affidata a lui la curatela delle sue poesie) Un “desiner” della poesia e le Notizie filologiche sulle raccolte e sui testi che infondono una nuova luce sulla genesi delle raccolte e ripropongono numerosi interventi critici. Così l’incipit di Vitelli: “La fortuna di Leonardo Sinisgalli non è stata sinora pari al suo valore intellettuale. Una peculiarità ha contraddistinto le vicende della sua ricezione; intanto, l’assenza di una popolarità diffusa che lo ha relegato a un destino elitario. Ciò torna in linea con la sua natura che rifuggiva dagli schemi populisti e preferiva rifugiarsi dentro gli orizzonti di una cultura alta, raffinata e spesso controcorrente. Amava gli spiriti eretici e a loro si sentiva affratellato nel segno di un gusto estravagante che alimentava con vaste e profonde letture poi meditate e discusse lontano dal chiuso delle biblioteche ma piuttosto nei luoghi aperti delle passeggiate notturne con gli amici o, al più, nei cenacoli dei caffè. La flânerie non è stata ancora indagata come forma di partecipazione e apertura alla modernità che ha segnato profondamente la sua scrittura. Si può parlare, in un certo senso, di Sinisgalli vittima di se stesso; troppo forte è stata la capacità anticipatrice, per cui si è trovato in dissenso col suo tempo e contemporaneo della posterità, la quale ha messo in pratica
le sue idee geniali quando per lui andavano prendendo un’altra piega. Si veda ad esempio il rapporto con il mondo industriale, del quale Sinisgalli è stato presentato come il cantore entusiasta in un fideismo senza dubbi.” Con la pubblicazione di questo volume, (ma non solo), Sinisgalli torna meritatamente alla ribalta, non più quindi liquidato come “minore” poeta ermetico ma come classico della poesia del Novecento.
alcune poesie di Leonardo Sinisgalli:
16 Settembre 1943
Mia madre diceva il 16 settembre,
poco prima di morire sulla mezzanotte,
che una pulce la pungeva sulla schiena
una pulce pesante come un cavallo.
Una zampa oscura la premeva sul letto.
Mia madre doveva sudare per resistere,
e spirare bocconi, senza aver trovato la forza
di dire una preghiera.
Sono tornati i fiori sulla loggia,
più nessuno li ha innaffiati.
Hanno rimesso i ferri ai puledri
e i giorni si sono consumati.
La brutta bestia miagola ancora
tra le crepe della vecchia casa.
Una sera del mese di agosto
noi stavamo sul terrazzo
a guardare in cielo l’immenso vespaio.
Il vento di agosto che distoglie la pula
dal grano e dà l’ebbrezza ai trebbiatori
incappucciati sulle aie,
e fa splendere le pale sulla paglia,
schiariva ai nostri occhi la speranza
di una pace sudata. Mio padre
si addormentò sulla sedia
al soffio di quell’aria serena.
Mia madre parlò a me che fumavo:
“L’acqua torbida” disse “scorre avanti
all’acqua sincera, il fiume
trascina la verità”.
La vigna vecchia
Mi sono seduto per terra
accanto al pagliaio della vigna vecchia.
I fanciulli strappano le noci
dai rami, le schiacciano tra due pietre.
lo mi concio le mani di acido verde,
mi godo l’aria dal fondo degli alberi.
Pianto antico
I vecchi hanno il pianto facile.
In pieno meriggio
in un nascondiglio della casa vuota
scoppiano in lacrime seduti.
Li coglie di sorpresa
una disperazione infinita.
Portano alle labbra uno spicchio
secco di pera, la polpa
di un fico cotto sulle tegole.
Anche un sorso d’acqua
può spegnere una crisi
e la visita di una lumachina.
Lucania
Al pellegrino che s’affaccia ai suoi valichi,
a chi scende per la stretta degli Alburni
o fa il cammino delle pecore lungo le coste della Serra,
al nibbio che rompe il filo dell’orizzonte
con un rettile negli artigli, all’emigrante, al soldato,
a chi torna dai santuari o dall’esilio, a chi dorme
negli ovili, al pastore, al mezzadro, al mercante
la Lucania apre le sue lande,
le sue valli dove i fiumi scorrono lenti
come fiumi di polvere.
Lo spirito del silenzio sta nei luoghi
della mia dolorosa provincia. Da Elea a Metaponto,
sofistico e d’oro, problematico e sottile,
divora l’olio nelle chiese, mette il cappuccio
nelle case, fa il monaco nelle grotte, cresce
con l’erba alle soglie dei vecchi paesi franati.
Il sole sbieco sui lauri, il sole buono
con le grandi corna, l’odoroso palato,
il sole avido di bambini, eccolo per le piazze!
Ha il passo pigro del bue, e sull’erba,
sulle selci lascia le grandi chiazze
zeppe di larve.
Terra di mamme grasse, di padri scuri
e lustri come scheletri, piena di galli
e di cani, di boschi e di calcare, terra
magra dove il grano cresce a stento
(carosella, granoturco, granofino)
e il vino non è squillante(menta
dell’Agri, basilico del Basento!)
e l’uliva ha il gusto dell’oblio,
il sapore del pianto.
In un’aria vulcanica, fortemente accensibile,
gli alberi respirano con un palpito inconsueto;
le querce ingrossano i ceppi con la sostanza del cielo.
Cumuli di macerie restano intatte per secoli:
nessuno rivolta una pietra per non inorridire.
Sotto ogni pietra, dico, ha l’inferno il suo ombelico.
Solo un ragazzo può sporgersi agli orli
dell’abisso per cogliere il nettare
tra i cespi brulicanti di zanzare
e di tarantole.
Io tornerò vivo sotto le tue piogge rosse.
tornerò senza colpe a battere il tamburo,
a legare il mulo alla porta,
a raccogliere lumache negli orti.
Udrò fumare le stoppie, le sterpaie,
le fosse, udrò il merlo cantare
sotto i letti, udrò la gatta
cantare sui sepolcri?
Epigrafe
Quando partisti, come è nostra usanza,
inzepparono la cassa dei tuoi piccoli oggetti cari.
Ti misero l’ ombrellino da sole
perché andavi in un torrido regno
e ti vestirono di bianco.
Eri ancora una bambina,
una bambina difficile a crescere.
Pure fosti accolta con rassegnata dolcezza,
custodita e portata alla luce
come matura la spiga in un campo esausto.
lo ricordo, sorella, il tuo pigolìo
quando ti chiudevi a piangere sulla loggia
perché volevi andare sul tetto a stare.
Eri felice soltanto se potevi sollevarti un poco da terra.
Ti misero nella cassa gli oggetti più cari,
perfino una monetina d’oro nella mano
da dare al barcaiolo che ti avrebbe accompagnata
all’altra riva. Noi restammo di qua
nella grande casa che tu sapevi rivoltare come un sacco.
Per un po’ di giorni nessuno ebbe voglia di riassettarla.
Ci raccogliemmo intorno al camino
pensando al tuo grande viaggio,
alla tristezza di mandarti sola in un paese sconosciuto.
La nonna stava ad aspettarci da anni.
Da anni nessuno di noi era stato chiamato.
Nell ‘immensa plaga, in quella lunga quarantena
come avete fatto a riconoscervi?
Ti avevamo messo dentro la cassa gli oggetti più cari,
il tuo ombrellino, il tuo pettine, un piccolo mazzo di fiori.
Mia madre ti seguiva ad ogni tappa, dalla casa
alla chiesa, dalla chiesa al cimitero.
Dava ricetto nella sua stanza ad ogni farfalla,
e tenne per lungo tempo la casa aperta
nella speranza che tu potessi tornare.
Un giorno una donna venne a bussare alla porta,
a dirci che ti aveva sognata.
La donna aveva una bimba malata, una tua compagna,
e tu avevi visitata.
Parlasti in sogno a quella donna, chiedesti qualcosa
che ella non sapeva: perché non sentiva in sogno
e tu parlavi e pareva che chiedessi una cosa
che nella confusione del distacco era stata dimenticata.
Mia madre rovistò tra le tue carte,
stette a lungo a cercare i tuoi quaderni a uno a uno.
Guardammo per l’ultima volta
la tua scrittura tenera, il tuo esile nome
scritto dalla tua piccola mano.
Furono legati con un nastro bianco i tuoi quaderni
che avevamo dimenticati. La bambina te li avrebbe portati.
Aggiustammo i tuoi quaderni nella cassa
della compagna che tu avevi prediletta.
Anch’essa venne vestita di bianco
nel torrido regno da cui nessuno è mai tornato.
A mio padre
L’uomo che torna solo
A tarda sera dalla vigna
Scuote le rape nella vasca
Sbuca dal viottolo con la paglia
Macchiata di verderame.
L’uomo che porta così fresco
Terriccio sulle scarpe, odore
Di fresca sera nei vestiti
Si ferma a una fonte, parla
Con un ortolano che sradica i finocchi.
È un uomo, un piccolo uomo
Ch’io guardo di lontano.
È un punto vivo all’orizzonte.
Forse la sua pupilla
Si accende questa sera
Accanto alla peschiera
Dove si asciuga la fronte.
Da: Leonardo Sinisgalli, Tutte le poesie, Mondadori, 2020.