Toscana
Del sogno rimaneva soltanto
un velo placentare, una lieve cataratta,
che alzandosi sopra i poggi portava l’orizzonte
oltre le sue possibilità. L’occhio, piangendo,
teneva la misura di lontananze remote.
Vedevi il monte Amiata nei fasti del calore,
alzarsi verso la Maremma. Eri nel balconcino
in cui giocavi con i sogni d’infanzia,
con le spazzole per le scarpe ai piccoli treni,
oppure con l’impaziente fratello alle corse dei cavalli.
Erano corti i giorni; volavano ribelli
le rondini alla nuova primavera.
Visione
Alla periferia di un whisky, ai margini della fame – sui colli residenziali del respiro – nei bassifondi del pensarti: ecco la nuova geografia della città.
I morti tornano sempre all’alba
Nevica a vento tra le croci;
Elena de’ Bargagli ora in Petrucci
cammina nei vialetti
del quartiere “I grandi Estinti”
recitando i misteri
gaudiosi nel bell’ancóra
suo fine, il tosco eloquio.
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Lo so, filosofeggi in versi,
tanto che qualcuno trova conveniente
dissentirne. Non intendi
spacciarti per poeta,
ma non vieti neanche, a chi lo voglia,
di pensarmi un cantore.
Senza titolo
Avemmo il mare da sfebbrare,
quando la sete ci venne a far visita, cortese,
chiedendo scusa per l’ora inopportuna.
Ti bevvi come un miraggio
e mi faceva senso averti dentro
senza aver prima passata la dogana.
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Gianfranco Fabbri è nato a Siena, ma vive e lavora a Forlì. In ambito poetico, dopo l’esordio con Di tutto un niente (Forum-Quinta generazione, Forlì, 1978), ha pubblicato I pantaloni del Po”, (Circolo Nuovo Ruolo – ARCI, Forlì, 1981), I ragazzi del Settanta (Campanotto, Udine, 1989), Davanzale di travertino (Campanotto, Udine, 1993), Album italiano (ibidem, 2002), Stati di vigilanza (Manni, Lecce, 2007). Dal 2008 ha dato vita alla casa editrice “L’arcolaio”. Nonostante l’intenzione di chiudere con la scrittura per dedicarsi interamente all’attività editoriale, è tornato a scrivere poesia. Questi versi per “Nuova Ciminiera” ne sono una testimonianza.